Le banche private

Banchieri docg e “quaquaraquà”

C’è sempre un momento in cui le difficoltà del mercato dividono i migliori dai peggiori, i capaci dagli incapaci. Nel mondo bancario e in particolare delle banche private quel momento è stato il 2008.

Era un caldo agosto quello del 2008 e non solo per il clima, i mercati, dal 2007 sotto pressione per la crisi dei mutui sub-prime, non avevano ancora toccato il fondo e lo fecero subito dopo il 15 settembre del 2008 quando Lehman Brother annunciò l’intenzione di avvalersi del Chapter 11 del Bankruptcy Code statunitense dichiarando debiti bancari per 613 miliardi di dollari, debiti obbligazionari per 155 miliardi e attività per un valore di 639 miliardi.

Si trattava della più grande bancarotta nella storia degli Stati Uniti. Da quel momento nulla è stato più come prima anche da noi in Italia, molte banche guidate da banchieri sprovveduti o spregiudicati uscirono allo scoperto con crediti inesigibili, più o meno maldestramente occultati al pubblico dominio, tanto da mettere in crisi e conseguentemente portare sull’orlo del baratro la banca stessa.

È molto interessante ascoltare i molti banchieri italiani virtuosi che da quella crisi sono usciti sani e salvi e che oggi rappresentano molti casi di successo.

Quale è l’elemento che li accomuna? L’attenzione alle persone e alla conseguente qualità del credito. L’attività bancaria sana si contrappone al capitalismo di relazione, proprio perché parte da una conoscenza approfondita del territorio, dei clienti e punta sulla qualità dei propri uomini: innanzitutto i private banker e poi chi li guida.

È bene precisare che le dimensioni (grande, media o piccola che sia) e la tipologia della banca (a controllo pubblico o famigliare) non sono una variabile determinante: ci sono ottimi banchieri in grandi gruppi e altrettanti ottimi banchieri alla guida di banche familiari. 

Anche il legame con il territorio non è di per sé garanzia di successo: ci sono banche radicate nel territorio che sono egregiamente sopravvissute al 2008 e altre che non ce l’hanno fatta.

Anche in questo caso la differenza la fanno gli uomini: i banchieri bravi e vincenti a cui potremmo dare l’appellativo di DOCG (denominazione di origine controllata e garantita).

Ascoltando i racconti di questi banchieri DOCG si scoprono storie bellissime di umanità, saggezza ma anche tanta umiltà. Innanzitutto i banchieri DOCG dialogano costantemente con i loro uomini sul territorio (i private banker), visitano le filiali, ascoltano la rete, parlano con i clienti.

Un antico proverbio latino così recitava: “oculus domini saginat equum”, cioè “l’occhio del padrone nutre il cavallo”.

Questi nostri banchieri DOCG, fanno e hanno sempre fatto quello che ci insegna la nostra cultura contadina: spendersi in prima persona, entrare in contatto con le imprese, con i clienti, ascoltare e valutare i propri uomini che sono sul territorio, siano essi private banker o gestori corporate o l’insieme dei due.

Questa è la vera differenza tra un banchiere DOCG e un banchiere “quaquaraquà” come scrive Leonardo Sciascia nel Giorno della Civetta.

Il banchiere “quaquaraquà” non ascolta la propria rete, non esce dal suo ufficio, protetto nella sua torre d’avorio, frequenta solo i suoi simili, e quando le cose vanno – come è giusto che sia adottando tale comportamento – inevitabilmente storte ecco che lui scarica la responsabilità sui collaboratori, sul mercato e sul fato avverso.

Per nostra fortuna in Italia esistono molti banchieri DOCG, che sono apprezzati dai loro clienti e rispettati dai loro private banker perché si mettono nei loro panni, non scendono a compromessi con il capitalismo di relazione e vanno al sodo.

Il credito si fa a chi lo merita e lo si fa in modo sano per la banca e per il territorio, l’attenzione alla piccola e media impresa italiana che rappresenta oltre il 70% del PIL e garantisce l’80% dell’occupazione è fondamentale per il successo del sistema bancario e del Paese.

È quindi fondamentale avere alla guida delle banche e soprattutto delle banche private – che gestiscono la maggior parte dei clienti imprenditori – banchieri DOCG che affiancano i propri private banker nell’attività di erogazione del credito alle imprese e di gestione del patrimonio degli imprenditori.

Per nostra fortuna l’Italia è ricca di belle banche, validi banchieri e ottimi private banker, d’altronde l’Italia ha dato i natali al Banco san Giorgio di Genova, la prima banca al mondo, correva l’anno 1407.

Nicola Ronchetti