Bluerating | Settembre 2020
Il consulente finanziario autonomo rappresenta una figura professionale molto affermata in UK e USA, ancora poco consolidata in Italia dove tra società e singoli professionisti si contano circa 240 professionisti contro gli oltre 55.000 consulenti iscritti all’OCF.
Eppure la cosiddetta consulenza “fee only” interessa ben il 91% dei clienti HNWI (in ulteriore crescita dall’89% nel 2019), il 75% dei clienti dei clienti private era il 69% nel 2019 e oltre la metà (55%) dei clienti affluent (dal 45% del 2019).
Certo il termine “fee only” è accattivante e piace a prescindere. Tanto è che questo servizio viene offerto con grande successo anche dalle banche e dalle reti dei consulenti finanziari.
Detto ciò cosa impedisce – ad oggi – alla consulenza autonoma e indipendente da una mandante di raggiungere i numeri dei paesi anglosassoni? Le spiegazioni possono essere molte, cerchiamo di individuare le principali.
L’Italia è un paese bancocentrico, dove nel bene e nel male le banche hanno rappresentato e rappresentano un collettore di istanze finanziarie, erogando e gestendo denaro: il mercato dei capitali – rappresentato in primis dalla borsa – è infatti sottodimensionato rispetto ad altri paesi anche a causa della taglia medio piccola e del controllo familiare delle imprese italiane.
La reputazione delle banche, pur messa a dura prova da crisi e scandali, rimane forte, soprattutto per quelle che sono diventate polo aggregante. Reputazione fa rima con fiducia e fiducia è il propellente per acquisire e gestire clienti.
Le banche poi si sono evolute, digitalizzandosi e dando vita a nuove banche, le banche reti, che grazie alla figura professionale del consulente finanziario sono riuscite a cavalcare due trend emergenti: la digitalizzazione, in sostituzione della presenza fisica e territoriale e la maggior proattività commerciale legata a una professione interamente remunerata a provvigione.
Quanto un singolo professionista per quanto valido e preparato e con una solida reputazione può competere con una banca o una banca rete che è presente sul mercato da minimo 50 anni e che ha investito milioni di Euro in comunicazione? E quanto lo stesso professionista può disporre di tecnologie, strumenti, piattaforme in grado di fornire una consulenza finanziaria evoluta al pari delle banche?
Certamente le possibilità per un ulteriore sviluppo della consulenza autonoma ci sono, ma richiedono tempo, d’altronde anche il consulente finanziario, oggi apprezzato e stimato, ha dovuto lottare per decenni prima di vedere riconosciuta appieno la propria professione.
Per comprendere la possibile evoluzione della figura del consulente autonomo giova certamente anche analizzarne il profilo. Da una ricerca condotta da FINER su 177 Consulenti Autonomi rappresentativi dell’universo di riferimento costituito da 240 professionisti operativi a inizio 2020 (fonte Consultique SCF, NAFOP, AssoSCF) emergono alcuni dati non banali.
Innanzitutto i consulenti autonomi sono mediamente molto soddisfatti (il 54% addirittura completamente) della loro professione, il 71% è laureato, utilizzano i social network (soprattutto LinkedIn) in misura maggiore (77%) rispetto alle altre figure professionali, soprattutto per farsi conoscere e avere maggiore visibilità.
La giornata media del consulente autonomo evidenzia una minor rendita di posizione e un minor supporto operativo rispetto al consulente finanziario con mandato. Rispetto ai CF è infatti minore il tempo dedicato ai clienti acquisiti (36% vs.46% dei CF), rispetto allo sviluppo di nuovi clienti (22% vs.16% dei CF), mentre è maggiore il tempo dedicato ad attività amministrative e burocratiche (25% vs. 18% dei CF) non avendo una mandante alle spalle.
Il consulente autonomo pare essere maggiormente vittima della sindrome da lupo solitario, da cui invece i consulenti finanziari sembrano affrancarsi: tra i consulenti autonomi il 26% è poco incline a farsi affiancare da giovani colleghi e comunque non è propenso a lavorare in team (rispetto al 12% dei CF).
Le prospettive sul futuro della propria professione sono molto positive sia in assoluto che relativamente alle altre figure professionali: il 40% dei consulenti autonomi vede un futuro più positivo per la propria professione rispetto al 29% dei CF e al 9% dei bancari.
Quella del consulente autonomo, forse più di altre, è una professione scelta e certamente non subita, frutto di esperienze pregresse molto diversificate, come dimostra il fatto che il 16% dei consulenti autonomi dichiara di essere stato un CF, il 28% un ex bancario, ma ben il 56% di aver lavorato in aziende e in funzioni non direttamente legate alla finanza.
Quale futuro dunque per i consulenti autonomi? Se consideriamo che in Italia abbiamo oltre 25.000 esuberi bancari, che la consulenza finanziaria si sta estendendo sempre di più in ambito fiscale, successorio, assicurativo e corporate, che l’economia reale sta diventando il nuovo campo di gioco, possiamo ipotizzare grandi opportunità per chiunque le saprà cogliere.
Nicola Ronchetti