Private banking alla ricerca della frontiera efficiente
AP Advisor Private | Dicembre 2020
Il segmento di clientela private e i suoi estremi – gli HNWI e UHNWI – sono il vero banco di prova per qualsiasi banca, consulente finanziario o private banker.
Innanzitutto perché avendo patrimoni importanti questo segmento di clienti ha mediamente più banche, spesso messe in coopetizione e competizione tra di loro.
In secondo luogo le esigenze di questi clienti sono più complesse e sofisticate essendo focalizzate non solo al mantenimento di patrimoni di consistente entità – finanziaria e non solo – ma anche al suo passaggio alle generazioni successive.
Per questo l’industria del private banking e dell’asset management sta importando anche in Italia alcune delle cosiddette best practice consolidate in altri paesi dove la presenza di questi segmenti di clientela è decisamente più numerosa e articolata.
Tra le best practice ci sono sicuramente gli investimenti illiquidi in tutte le loro possibili declinazioni: private equity, private debt, infrastrutture, club deal, real estate ma anche investimenti in navi o in aerei cargo che vengono affittati a terzi garantendo, a fronte di rischi non banali, rendimenti elevatissimi.
L’industria del private banking e dell’asset management si sta – e non da oggi – spremendo sempre più le meningi per cercare di ritrovare investimenti in grado di generare valore per l’azionista e gestire in modo sempre più efficiente il patrimonio dei propri clienti.
Ma soprattutto l’industria è – da un paio di anni – alla perenne ricerca di investimenti finanziari in grado di generare rendimenti positivi in un’epoca di tassi sotto zero.
Gli investimenti illiquidi, sono certamente un ingrediente, ma non l’unico, per una corretta asset allocation dei patrimoni dei paperoni nostrani.
Anche gli ETF sembrano in grande spolvero nel nostro paese, soprattutto quelli tematici e quelli ESG, ma presto arriveranno in Italia anche gli ETF attivi e smart beta che stanno mietendo grandi successi oltre oceano.
In questo contesto il ruolo dei gestori attivi si fa più sfidante, sempre più difficile infatti trarre valore da un mercato dell’equity che viaggia a prezzi stellari e da uno dei bond in forte depressione.
L’industria del private banking e del wealth management si presenta dunque sul mercato con molte più frecce nella faretra di qualche anno fa, ma anche con obiettivi molto più sfidanti.
Per le banche e i professionisti che sono in grado di mettere al centro il cliente partendo dai suoi obiettivi, dal suo orizzonte temporale e dalla sua propensione al rischio, anche secondo i dettami della MIFID 2, si aprono quindi grandi opportunità.
L’offerta è così ampia da spaziare da meri replicanti a prodotti illiquidi altamente sofisticati.
Se vivessimo in un mondo perfetto verrebbe da dire che ogni banca private che volesse mettere realmente al centro del proprio modello il cliente dovrebbe poter offrire l’intero campionario cucendo abiti su misura e scegliendo il tessuto e le tonalità che più si adattano al singolo cliente.
In realtà non è così, non solo perché le banche non sono in assoluto entità perfette e totalmente centrate sui clienti, ma anche perché ogni banca, come ogni società d’altronde, ha un suo DNA e una sua vocazione e soprattutto uno o più azionisti da remunerare.
Tutto ciò impone la definizione di una strategia e la scelta del tipo di clientela che si vuole servire.
Da un lato abbiamo banche private generaliste molto focalizzate su una clientela private media, che desidera trovare in una banca private, anzitutto una banca e quindi è essenziale un home banking all’avanguardia, un’offerta di carte di credito, una gestione degli investimenti diversificata, l’accesso al credito sia come persone fisiche che come entità giuridiche.
Dall’altro lato abbiamo banche private focalizzate sui segmenti HNWI o UHNWI che puntano a offrire ai loro clienti l’accesso prevalentemente agli investimenti illiquidi, lasciando ad altre banche i prodotti “plain vanilla” e mettendo alla porta il cliente che osa chiedere una carta di credito.
A rendere il tutto più complesso si rileva che tra i due estremi vi sono infinite declinazioni e soprattutto grandi gruppi bancari che al loro interno offrono l’uno e l’altro modello di servizio.
Solo il tempo ci dirà quale dei due modelli risulterà vincente o se ne nascerà un terzo, nel frattempo tutte le banche private e – al loro interno – i private banker stanno serrando i ranghi per affrontare una serie di sfide mai viste prima.
Nicola Ronchetti