ADVISOR | Luglio 2021
In Italia gli investitori sono solo il 25%, l’altro 75% degli individui preferisce tenere i soldi sul conto corrente in caso di bisogno, sia per una scarsa educazione finanziaria che per un basso livello di fiducia verso l’industria del risparmio gestito e della consulenza finanziaria.
Tutti temi noti da anni e – per ora – solo parzialmente risolti.
Vi è però un altro fattore che spiega perché una minoranza di italiani investe i propri risparmi, si tratta dello scarso appeal dei fondi di investimento dal punto di vista del marketing e della loro riconoscibilità.
In Italia ci sono circa 5.400 fondi aperti a disposizione dei risparmiatori su una popolazione complessiva di 60,3 milioni di individui, di cui però solo 15 milioni sono potenziali investitori finali.
Giusto per avere un ordine di grandezza negli USA ci sono circa 9.000 fondi aperti ma su una popolazione di 328 milioni di individui.
Di fronte a questi numeri diventare una commodity per un fondo comune di investimento in Italia più che un rischio è quasi una certezza.
Commodity significa che alla fine un prodotto vale l’altro anche se sappiamo che nella sostanza non è per nulla così.
Ad oggi sono pochissimi i casi di fondi comuni di investimento caratterizzati da una propria identità e da un nome che li distingua o li abbia distinti nel mare magnum dell’offerta facendone un caso di successo.
Tra questi potremmo citare il GMAI (Global Multi Asset Income) di Fidelity, MAGO (Multi Asset Global Opportunities) di Pictet e il FIGO (Fix Income Global Opportunities) di BlackRock.
In tutti e tre i casi l’acronimo ha consentito una forte riconoscibilità del prodotto per il consulente finanziario e il private banker.
In assenza di un nome distintivo ai risparmiatori italiani e ai loro consulenti, non resta altro che puntare su qualcosa di riconoscibile come destinazione dei loro investimenti.
Ecco che in questo caso i fondi tematici sono un’ottima opzione. Parlare di acqua, foreste, infrastrutture, smart city, ponti, dighe, vaccini, robot, oceani è certamente molto più identificativo che investire in un fondo che il cui nome è composto da cinque o sei parole in inglese, e in Italia sappiamo che solo 1 individuo su 10 lo parla correttamente.
Se è vero che un prodotto poggia il suo successo sulle performance che riesce a generare, sulla storia del gestore e sui suoi track record è altrettanto incontrovertibile che un prodotto sconosciuto difficilmente riesce ad affermarsi sul mercato.
Inoltre i fondi tematici offrono l’opportunità – per chi sa sfruttarla meglio di altri – di costruire un efficace story telling.
Per riuscire a trasformare i risparmiatori in investitori è molto importante dare un nome e una destinazione al loro denaro.
Solo così l’industria avrà l’opportunità di raddoppiare le masse in pochi anni. Molte SGR lo hanno capito e stanno mietendo successi, alle altre non resta che augurare un grosso in bocca al lupo.
Nicola Ronchetti