CONSULENZA & ASSET MANAGER LA RIVOLUZIONE SILENZIOSA

Investire | Aprile 2022

La storia di amore tra le reti dei consulenti finanziari italiani e le società di gestione del risparmio è iniziata tanti anni fa testimoniata dallo sbarco in massa delle cosiddette SGR estere in Italia negli ultimi venti anni.  

Nel lontano 2005 erano solo 3 le SGR con cui i consulenti finanziari volevano lavorare, nel 2015 il numero è più che quintuplicato arrivando a 17. Nel 2020 e poi nel 2021 questo numero non solo non è cresciuto ma si è addirittura ridotto.

D’altro lato il risparmio gestito in Italia continua a crescere toccando ogni anno un nuovo record – oggi siamo a oltre 2.580 miliardi di Euro – e certamente i consulenti finanziari ne sono tra i più convinti paladini.

Come leggere questi dati apparentemente tra loro in contraddizione? Meno SGR nel cuore dei CF ma masse in gestione delle stesse SGR in costante crescita?

Le ragioni di questo apparente paradosso sono diverse. La prima e più evidente è la concentrazione del settore tipica di mercati maturi in cui giocoforza la concorrenza aumenta e i margini si riducono.

Aggiungiamo un fattore esogeno come quello dell’abbassamento dei tassi sotto zero e il quadro è presto delineato.

Come se non bastasse a rovinare la festa alle SGR, soprattutto a quelle più piccole e meno consolidate, sono arrivati altri due pretendenti, chiamiamoli così, all’altare della consulenza finanziaria: gli ETF e, più recentemente gli alternativi.

Che dire poi della volatilità dei mercati che già aveva mostrato le unghie e che con l’invasione dell’Ucraina ha iniziato a mordere?

Per i gestori attivi è sempre più difficile riuscire a estrarre valore dai mercati anche e non solo per i più drammatici e recenti fatti di guerra.

Quali sono le soluzioni in grado di ridare ossigeno alle SGR, dalle più piccole alle più grandi, strangolate da una distribuzione che riduce i margini e che sembra puntare sempre di più sulle gestioni in delega e sulle SGR di casa?

Al netto delle performance che però dipendono dai gestori e dal mercato, ci sentiamo di dare qualche suggerimento a chi vuole rimanere sul mercato e magari, appena passa la nottata, riprendere a crescere.

Il primo suggerimento è puntare sulla qualità del servizio ai distributori, il ruolo di advisory e di sales support delle SGR terze in questo senso è determinante.

Non è un caso che tra le i pesi massimi dell’asset management internazionale prevalentemente a stelle e strisce sia riuscita a ricavarsi uno spazio anche qualche SGR italiana e qualche outsider svizzera.

Il secondo tema è la capacità delle SGR di sapersi distinguere e – cosa non scontata – di riuscire a comunicarlo al mercato. In tempi di concentrazione del settore essere generalisti e non avere tratti distintivi o punti di forza rispetto ai competitor è estremamente pericoloso.       

Certamente le SGR si trovano oggi tra l’incudine della distribuzione e il martello dei mercati che se hanno retto allo scoppio della pandemia hanno viceversa cominciato a ballare dopo l’invasione russa in Ucraina.

Le stesse SGR più visionarie, per evitare di essere messe all’angolo da queste dinamiche esogene ed endogene al settore, sembrano aver trovato due possibili vie di fuga o comunque alternative.

La prima è la disintermediazione: distribuire cioè direttamente i propri prodotti agli investitori finali, magari tramite una propria rete di consulenti finanziari o tramite piattaforme proprietarie.

Non sarebbe questa una novità assoluta, basti pensare a Vanguard partita con questo modello in USA e ora approdata nel vecchio continente.

La seconda soluzione è puntare su asset class non quotate, private equity e private debt, togliendosi così, almeno nel breve periodo, dal giogo dei mercati finanziari, anche se prima o poi da lì si deve passare.

Nicola Ronchetti