Advisor | Aprile 2024
Il consenso è (quasi) unanime: il mondo della consulenza sta cambiando per l’ennesima volta marcia per anticipare un cambiamento che è nell’aria da tempo e che ora ha una scadenza ben precisa: la revisione del modello di remunerazione della consulenza in parte, ma non solo, indotta dalla prossima revisione del modello di remunerazione (la Retail Investment Strategy).
In realtà i grandi cambiamenti di rotta non avvengono mai dall’alto – regolatori, governi, istituzioni e banche – ma dal basso, cioè dagli investitori, dagli utenti e dai clienti, che con il cambiamento delle loro attitudini e abitudini hanno da sempre segnato e segneranno il successo o l’insuccesso di qualsiasi servizio o prodotto.
E se questo è ormai assodato nel settore del largo consumo e dei beni durevoli, sta diventando realtà anche nel settore bancario, finanziario e assicurativo.
Basti pensare alla chiusura di migliaia di filiali bancarie: i clienti ne hanno decretato la fine prima che le banche se ne accorgessero, tanto è che alcune hanno proseguito nella folle corsa al loro acquisto a tempo ormai scaduto.
La stessa cosa sta succedendo alla consulenza a pagamento, per anni dileggiata, in alcuni casi osteggiata, ora è divenuta oggetto di attenzione perché i cosiddetti trend setter, ovverosia gli anticipatori di tendenze, ne sono attratti e ne apprezzano la chiarezza, la trasparenza e il valore aggiunto.
Nel modo della finanza i trend setter sono tipicamente i giovani e gli individui più patrimonializzati (private e HNWI).
Dalle ricerche che FINER conduce periodicamente, emerge come il 72% di costoro si dichiari disposto a pagare un compenso per la consulenza finanziaria offerta dal proprio banker a fronte di una ottimizzazione delle commissioni sui singoli prodotti sottoscritti.
L’ampliamento della gamma di prodotti offerti in un contenitore unico – la cosiddetta consulenza evoluta – che vede fondi comuni di investimento in compagnia di titoli governativi, BTP, ETF, ETC – piace infatti all’88% dei super ricchi che sono disposti a pagare per questa il loro consulente.
La stessa cosa vale per i giovani, che nel giro dei prossimi dieci anni erediteranno centinaia di miliardi di euro da chi li ha preceduti: il 76% di costoro si dichiara favorevole a pagare una fee di consulenza in cambio di un professionista che sia in grado di ascoltarli e di selezionare le soluzioni caratterizzate dal miglior rapporto costo qualità, il cosiddetto value for money appunto.
Il passaggio è epocale per chi lo saprà cogliere: il consulente non sarà più un mero selezionatore di ingredienti ma un vero e proprio regista che, grazie al supporto anche tecnologico della propria banca, saprà mixarli magistralmente affiancando ogni cliente nella realizzazione dei suoi progetti di vita.
Tra le reti c’è chi è già pronto a questo cambiamento, chi si sta attrezzando e chi in modo opportunistico aspetterà l’ultimo momento per cambiare rotta.
Ci sono poi reti che hanno deciso di puntare quasi esclusivamente sulla gestione del risparmio, altre anche su protezione e credito, alcune maggiormente focalizzate sul segmento di clientela private, altre che desiderano servire una clientela più universale.
Pur con tutte queste differenze, a prosperare saranno solo quelle banche, in grado di ascoltare in modo continuativo sia i clienti che i loro dipendenti e consulenti, in modo da anticiparne i cambiamenti in atto e non di subirli.
Nicola Ronchetti