Alla (ri) conquista del cliente
Il mercato della consulenza finanziaria in Italia è cresciuto tantissimo negli ultimi anni, arrivando oggi a superare abbondantemente quota 500 miliardi di Euro di masse in gestione, 4,1 milioni di clienti e oltre 26mila CF con mandato attivo.
Si tratta però di una crescita non totalmente organica, basata per lo più sul reclutamento di professionisti con un portafoglio clienti già acquisito. Ergo, come si direbbe in una multinazionale, new business zero.
Se guardiamo alcuni dati che riguardano i CF scopriamo che hanno mediamente 54anni, sono in prevalenza uomini (82%), hanno un portafoglio medio di 25 milioni di Euro (con un incremento del 50% in pochi anni), un’anzianità nella rete superiore ai 10 anni, la quasi totalità ha piani di fidelizzazione che li legano per altri 5/10 anni.
Insomma questo è il profilo di un professionista appagato e di successo, certamente però con un grande futuro alle sue spalle.
MIFID 2, la volatilità dei mercati, la rivoluzione digitale, la mancanza di un ricambio generazionale, di diversità di genere, il progressivo abbandono dell’architettura aperta per soluzioni guidate dalla mandante e il successo dei fondi passivi (ETF) pongono alcuni quesiti sull’evoluzione di questa figura che resta centrale per la gestione del risparmio degli italiani.
Il primo e più importante quesito è perché il numero di clienti seguiti, pur in aumento, non si avvicina ad una percentuale degna di una professione tanto importante per la gestione del risparmio degli italiani: solo il 10% dei clienti bancarizzati italiani è infatti seguito da un CF.
E non si dica che il mercato è saturo: oltre 8 milioni di italiani con buona disponibilità finanziaria (affluent e upper affluent) attendono di trovare un referente per gli investimenti che li sappia guidare verso scelte consapevoli e la realizzazione dei loro progetti, nel frattempo hanno parcheggiato in banca quasi 1.000 miliardi di Euro (fonte Bankitalia). L’87% degli italiani risparmia mentre solo il 27% investe i propri risparmi.
Le cause sono molte, ma quasi tutte riconducibili ad una parola: fiducia.
Dalle ricerche che FINER conduce periodicamente sulla quella parte della popolazione italiana dotata di buone disponibilità finanziarie (dai 200mila Euro in su) emerge come solo il 38% degli italiani ritiene che la sua banca sia dalla sua parte e faccia i suoi interessi, la percentuale sale al 52% quando si parla del proprio referente per gli investimenti.
Percentuali che indicano ampi spazi di miglioramento ed un mercato potenziale che è rappresentato dal 62% dei clienti di una banca e dal 48% dei clienti che hanno un referente per gli investimenti.
C’è poi anche un tema di soddisfazione: ad esempio, i clienti non soddisfatti e non serviti in modo adeguato al loro profilo sono il 73% dei clienti “private” seguiti da una banca generalista ed il 23% dei clienti seguiti da un CF.
È vero che il CF gode ancora oggi di una buona rendita di posizione ma il referente bancario o «gestore dedicato» alla clientela affluent che opera nelle banche universali ha recuperato il gap che lo separava dal CF, anche grazie ad un’offerta più completa prodotti di investimento + finanziamenti + protezione, la strada da fare è ancora molta, ma le premesse sono molto buone ed il vento favorevole.
Inoltre – anche grazie a MIFID 2 – acquisteranno sempre maggior peso altre figure professionali quali i consulenti indipendenti, le associazioni dei consumatori e in genere gli organi di tutela del risparmiatore-investitore.
Insomma c’è una vera e propria prateria inesplorata e popolata da clienti che – più o meno consciamente – sono bisognosi di consulenza finanziaria e di riacquistare quella fiducia nei mercati finanziari messi a dura prova da molti episodi molto vivi nella loro testa (Cirio, Parmalat, Bond Argentini, fallimento delle banche venete e toscane).
Il potenziale è enorme e si tratta nella maggior parte dei casi di riacquisire clienti e non di fare nuovi adepti partendo da zero: pensiamo che solo nel 2001 (prima dell’attentato alle Twin Tower) la percentuale di italiani che investiva finanziariamente i propri risparmi era il 54% esattamente il doppio di oggi (27%).
La vera sfida si giocherà sulla trasparenza e sulla qualità del servizio offerto ai clienti, ma anche sulla capacità delle banche di saper motivare e supportare adeguatamente i professionisti del risparmio (siano essi gestori bancari o consulenti finanziari) con strumenti digitali e con prodotti finanziari all’avanguardia, differenziati per target e bisogni della propria clientela.
Se questa partita non la vinceranno le banche, le reti dei consulenti finanziari, i consulenti indipendenti non preoccupatevi ci sono altri operatori già pronti ad entrare in campo.
Nicola Ronchetti