Insurance Review | Febbraio 2021
Esiste da sempre un dubbio amletico nelle aziende: make or buy? Questo dubbio esprime l’alternativa esistente per un’impresa tra produrre internamente (make) o acquistare dall’esterno (buy) beni e servizi necessari per lo svolgimento della propria attività.
La scelta assume un carattere strategico perché porta a un confronto diretto fra i costi unitari di produzione di un bene realizzato all’interno della stessa organizzazione aziendale, e quelli di un bene fornito da un produttore esterno più specializzato.
Se la produzione di un dato servizio si compie attraverso diverse fasi successive, non tutti gli stadi presentano le stesse economie di scala, quindi vi è il rischio che taluni risultino sottodimensionati e altri sovradimensionati, e le connesse capacità produttive non vengano utilizzate in modo ottimale.
Un produttore specializzato può invece produrre uno stesso componente con rilevanti riduzioni di costo ed è in grado di rifornire allo stesso tempo più imprese, anche in concorrenza fra di loro.
La scelta make enfatizza il controllo interno della produzione, quindi l’aspetto gerarchico, gestendo direttamente i flussi in ogni sua componente, con il rischio di un forte irrigidimento del ciclo produttivo e una enfatizzazione dei costi fissi.
La scelta buy pone l’accento sul mercato, riducendo i costi fissi e aumentando la flessibilità dell’organizzazione, con il rischio tuttavia di perdere il controllo della regolarità dei flussi e della qualità delle componenti del ciclo.
A questo dilemma negli anni della finanza ricca e spensierata i più aggressivi manager rispondevano con un secco buy, logiche economiche di breve periodo e soprattutto la loro valutazione sulla base di trimestrali impedivano una visione a più lungo medio termine.
Oggi sappiamo che la scelta tra make or buy si è rivelata decisiva per una serie di banche.
Partiamo dalla maggior banca italiana: Intesa Sanpaolo. Questa banca frutto dell’aggregazione di oltre 120 banche nella sua storia, ha deciso di incorporare all’interno del gruppo le fabbriche prodotto e quindi di erigersi a emblema del make.
Sul fronte risparmio gestito Intesa Sanpaolo ha EURIZON ora anche PRAMERICA. Nel comparto assicurativo si contano ben cinque società: Fideuram Vita, Intesa Sanpaolo Assicura, Intesa Sanpaolo Life, Intesa Sanpaolo RBM Salute, Intesa Sanpaolo Vita.
Carlo Messina CEO di Intesa Sanpaolo ha espresso chiaramente l’obiettivo che aveva già messo nero su bianco nel Piano di impresa 2018-2021: diventare la prima compagnia assicurativa italiana nel ramo danni non auto.
Sul fronte opposto la scelta della seconda banca italiana, UniCredit, che ha scelto di cedere la propria SGR Pioneer al colosso francese AMUNDI e in campo assicurativo di lavorare con joint venture con Allianz e Generali.
Se i due gruppi più importanti sembrano avere scelto percorsi diversi, è interessante vedere come si muovono le altre banche.
Le due grandi banche francesi – il gruppo BNP Paribas e Credit Agricole – hanno scelto di percorrere la stessa strada di Intesa Sanpaolo. Mentre Deutsche Bank ha attiva una joint venture a livello internazionale con Zurich.
A livello italiano UBI entrando nel Gruppo Intesa Sanpaolo ha dato il ben servito ad AVIVA mettendo in condizioni la compagnia inglese di chiudere i battenti nel nostro paese, in linea con gli obiettivi perseguiti da Amanda Blanc CEO del gruppo di focalizzarsi sul business domestico.
Inoltre in seguito all’ingresso di Generali in Cattolica l’accordo di bancassurance che questa ultima aveva con Banco BPM – Vera Vita e Vera Assicurazioni – è destinato a approdare nei tribunali, per il desiderio di Banco BPM di esercitare l’opzione di acquisto della joint venture e quindi perseguire il modello di Intesa Sanpaolo.
Che dire poi di BPER e UnipolSai? L’accordo sottoscritto da Carlo Cimbri CEO di UnipolSai con il suo omonimo ha di fatto sancito il successo della conquista di UBI da parte di Intesa Sanpaolo, consentendo al contempo al gruppo bolognese di avere – finalmente – una banca di dimensioni significative.
Resta ancora da sciogliere il nodo MPS, che sembrerebbe destinata ad andare in sposa a UniCredit, la banca senese ha un accordo di banca assicurazione molto consolidato con i francesi di AXA, il che porterebbe in dote alla ormai ex banca di Jean Pierre Mustier un ulteriore accordo da gestire.
È indubbio che ai processi di fusione e integrazione dei grandi gruppi bancari seguiranno a ruota i medesimi cambiamenti negli accordi di bancassurance.
Le motivazioni sottostanti queste grandi manovre sono molte, ma due su tutte. La prima motivazione è di natura finanziaria, in epoca di tassi zero e di rincorsa ai margini, i prodotti assicurativi possono garantire margini positivi, soprattutto in un paese come il nostro caratterizzato da bassa cultura e copertura assicurativa.
La seconda motivazione è legata alla capacità di fidelizzare la propria base clienti offrendo un modello di servizio “one stop shop” all’interno del quale trovare tutti i servizi che attengono alle tre aree cruciali: protezione, credito e gestione del risparmio.
Una sfida importante per le banche, perché certamente non basta possedere una compagnia di assicurazione per rendere più proattiva e propositiva la propria rete di vendita e garantire al contempo un adeguato livello di servizio ai propri clienti.
È certamente una sfida che va affrontata con grande determinazione, la posta in gioco non sono solo i bilanci delle banche ma anche e soprattutto la qualità della vita di milioni di imprese e di famiglie italiane.
I più illuminati banchieri se ne sono resi conto e non da oggi, speriamo che gli altri seguano a ruota.
Nicola Ronchetti