Advisor | Febbraio 2022
Archiviato un 2021 ricco di record, è lecito che il settore della consulenza finanziaria si interroghi su quali potrebbero essere le sfide che l’attendono nei prossimi anni.
Due temi appaiono centrali pur con diversa intensità.
Il primo è quello del passaggio dalla consulenza finanziaria alla pianificazione patrimoniale, che include tutti gli asset, materiali e immateriali e tutti i bisogni legati alla gestione della liquidità, della protezione e l’accesso al credito.
Questo tema è da tempo nell’agenda di tutte le reti, che lo affrontano, a seconda delle economie di scala, esternalizzando e internalizzando risorse e competenze complementari alla consulenza finanziaria.
Il secondo tema, forse più sfidante, è quello dell’allargamento della base dei clienti aumentandone il numero soprattutto tra quelli appartenenti al segmento affluent. Oggi tra gli oltre quattro milioni di clienti seguiti dai consulenti finanziari vi è infatti una forte concentrazione di clienti private (45%).
In Italia, gran parte del risparmio e della liquidità sui conti correnti è concentrata sul segmento mass e upper affluent, individui cioè con una giacenza media in liquidità sul conto corrente non lontana dai duecentomila Euro e che oggi è servito solo in minima parte (12%) dalle reti dei consulenti finanziari.
I numeri sono impressionanti, il segmento affluent detiene il doppio delle masse depositate in banca rispetto al segmento private: 1.000 miliardi di Euro per circa cinque milioni di clienti.
Per ampliare la propria base clienti su questo segmento le reti dei consulenti finanziari, dovrebbero, da un lato, individuare i professionisti più disponibili a investire sui clienti a minor patrimonializzazione, dall’altro, dotarli di strumenti e servizi di consulenza (anche evoluta) fortemente digitalizzata e modulabile.
Questo consentirebbe ai clienti di raggiungere un’ottima customer experience multi-canale e al il professionista una gestione ottimale del proprio tempo.
Oggi il segmento mass e upper affluent si affida prevalentemente alle banche tradizionali, che sono però in debito di ossigeno quando si tratta di tufarsi in apnea nel mare dei servizi digitali.
Anche se alcune reti, tipicamente quelle caratterizzate da un numero di clienti, masse gestite e livello di digitalizzazione superiore alla media, da tempo servono la clientela affluent ma prevalentemente come banca on line.
Essere una buona banca on line però non basta: i modelli vincenti sono quelli in grado di modulare l’intensità della consulenza evoluta, mantenendo al centro il binomio digitale-consulente ma adattandone il mix in base al tipo di cliente, all’entità del suo patrimonio e al suo orizzonte temporale.
Per le banche che investono nel digitale e al contempo nella formazione delle proprie persone, oggi è possibile infatti scalare i modelli di private banking più evoluti servendo al contempo clienti con esigenze più basiche.
È come avere uno stesso pianale per diversi modelli di macchina, dove a cambiare è il motore, il numero di spie sul cruscotto e, nel nostro caso, il pilota e la sua strategia di gara.
La casa automobilistica, gli ingegneri e i meccanici possono anche essere gli stessi, purché mettano il pilota al centro, consentendogli di proporre a differenti clienti esperienze diverse, di inserire le ridotte o ingranare la quarta per arrivare al traguardo prima e meglio di altri.
L’alternativa non sembra ancora l’auto a guida autonoma, ad oggi associata al rischio di uscire di strada o, nella migliore delle ipotesi, farsi sorpassare da tutti, banche tradizionali incluse.
Nicola Ronchetti