CONSULENZA FINANZIARIA QUANDO IL DENARO NON È TUTTO

Investire | Settembre 2024

Il settore della consulenza finanziaria cresce ogni anno a ritmi impressionanti, sia in assoluto che rispetto ad altri settori limitrofi che mostrano trend di crescita decisamente più asfittici.

Considerando le attuali quote di mercato conquistate dai consulenti finanziari – oggi pari al 20% del totale investitori e al 40% di quelli private – vi sono ampie prospettive di crescita e vi è spazio per almeno altri 7.000 professionisti.   

Eppure le reti faticano ad attrarre nuovi talenti provenienti dal settore bancario o da altri settori e, in assenza di alternative, per crescere sono costrette a reclutare professionisti da altre reti in un gioco che – per il settore – è a somma zero.

Passare da dipendente a consulente finanziario consentirebbe di aumentare da cinque a dieci volte la propria retribuzione annuale lorda che nel migliore dei casi oscilla tra i cinquantamila e i settantamila Euro.

Per reclutare un consulente finanziario da una rete concorrente, ci sono realtà disposte a mettere sul piatto un incentivo che a volte supera il 4% delle masse gestite dal singolo professionista, il che significa un incentivo al cambio di rete quantificabile in milioni di Euro.   

Se l’aspetto retributivo è dunque condizione necessaria ma non sufficiente per attrarre nuovi talenti, cosa altro serve per indurre un dipendente bancario a diventare un consulente finanziario o a chi lo è già a scegliere un’altra rete?

Per rispondere a questa domanda ci sono alcune evidenze empiriche emerse sia dalla ricerca FINER fatta per ASSORETI e presentata ad aprile al Salone del Risparmio 2024, che dai più recenti monitoraggi continuativi condotti da FINER.

Per gli oltre cinquemila professionisti intervistati – selezionati tra i consulenti finanziari, i private banker e i gestori bancari delle principali banche e reti – emerge in modo inequivocabile la rilevanza dell’immagine e della reputazione della banca o della rete nel valutare un possibile cambio di casacca.

Queste evidenze empiriche sono ulteriormente confermate incrociando i dati dei reclutamenti comunicati dalle reti – numero di professionisti in entrata – con quelli che quantificano il valore dell’immagine delle stesse monitorate da FINER.

Dall’analisi emerge una correlazione statistica diretta: le prime reti per numero di consulenti reclutati negli ultimi dodici mesi, corrispondono quasi esattamente – anche nella posizione in classifica – alle prime reti che godono di un’immagine e di una reputazione superiore alla media.

A ciò si aggiunga che l’immagine e la reputazione delle banche e delle reti percepite da chi in esse vi lavora, unitamente alla loro soddisfazione, sono un potente propellente in grado di aumentare la cosiddetta retention, ovverossia la capacità di trattenere e fidelizzare i consulenti della propria banca.

Inoltre quello che vale per i clienti vale anche per i consulenti: acquisire un nuovo consulente costa mediamente cinque volte di più che trattenerne e fidelizzarne uno che già lavora in banca.

Sembrerebbe una cosa semplice, ma non lo è: per costruirsi una buona immagine e una solida reputazione – interna ed esterna – ci vogliono anni di impegno, mentre basta un attimo per distruggerla.

Quasi tutte le reti e le banche hanno ben chiara l’importanza della loro immagine sia per i clienti che per chi in esse vi lavora, alcune partono con una solida rendita di posizione, altre più giovani se la sono costruita in tempi più recenti.

Per tutte vale lo stesso principio: per fare proseliti – sia tra i clienti che tra i professionisti – più del denaro poté l’immagine.

Nicola Ronchetti