Investire | Ottobre 2024
Daniel Kahneman compianto premio Nobel per l’economia nel 2002 è stato il primo psicologo a ottenere questo riconoscimento come padre della finanza comportamentale.
Il suo lavoro ha messo in dubbio il concetto di razionalità alla base dei processi decisionali, ribaltando i presupposti che avevano dominato l’economia per secoli.
Nel 2011, Kahneman con il bestseller “Pensieri veloci e lenti” (Thinking, Fast and Slow), ha presentato una visione completa della mente governata da due sistemi, uno veloce e intuitivo, l’altro lento e più razionale.
Un altro psicologo, Richard Thaler, vincerà il premio Nobel per l’Economia nel 2017 per i suoi lavori culminati nel libro Nudge, in cui identifica le modalità con cui le storture nei processi decisionali possono essere corretti dai condizionamenti positivi indotti dal contesto.
Due premi Nobel conosciuti da tutti i professionisti della gestione del risparmio e considerati due mostri sacri, ma evidentemente non così sacri da studiarne bene gli studi e soprattutto dall’applicarne concretamente e nell’attività quotidiana i loro principi frutto di anni di studi.
Dalla ricerca che FINER ha condotto per EFPA e che ha coinvolto un campione di professionisti (consulenti finanziari, private banker e bancari) e di investitori finali è emerso come la finanza comportamentale, o meglio i suoi principi, siano conosciuti solo dal 66% dei primi e dal 17% dei secondi.
Come se non bastasse, tra chi ha dichiarato di conoscere i principi della finanza comportamentale, solo il 34% dei professionisti e il 17% degli investitori finali li applica concretamente.
I pochissimi tra i professionisti e i clienti che applicano i principi della finanza comportamentale lo fanno quasi esclusivamente (79% e 85%) come argomento di conversazione e non nelle scelte di investimento (21% e 15%).
Il paradosso è che i professionisti e i loro clienti che applicano i principi della finanza comportamentale nelle loro scelte di investimento ne riconoscono l’utilità rispettivamente nell’81% e nel 75% dei casi.
Tra i motivi della riconosciuta utilità della applicazione della finanza comportamentale per i professionisti e i loro clienti emergono la maggior consapevolezza delle scelte (81% e 76%), il miglioramento del dialogo tra consulente-cliente (69% e 71%), il superamento delle barriere a investire (42% e 59%) e la maggior serenità e tranquillità (33% e 29%).
I sei errori cognitivi più diffusi tra gli italiani sono: l’avversione alle perdite (82%), l’effetto gregge (75%), l’inerzia ovverossia prendere decisioni sulla base di schemi familiari già sperimentati (62%), l’ancoraggio, cioè il fissarsi sulle prime informazioni ricevute (51%), l’eccesso di fiducia (44%) e l’errore di attribuzione che consiste nell’ascrivere a sé stessi il merito delle scelte con esito positivo, attribuendo invece ad altri la colpa di quelle andate male (38%).
L’analisi dei sei errori cognitivi più diffusi tra gli italiani svela poi alcuni risvolti interessanti: esistono differenze significative, tra donne e uomini, tra chi possiede patrimoni di differente entità, tra differenti coorti generazionali.
Vi è dunque l’opportunità di segmentare in modo pratico e concreto gli investitori attuali e potenziali definendo per ognuno di essi la modalità di approccio più corretta e le caratteristiche del professionista per loro ideale.
Tutto ciò consentirebbe di ampliare il bacino degli investitori e la crescita della loro consapevolezza: cosa aspettiamo dunque per passare dalla teoria alla pratica?
Nicola Ronchetti