We Wealth | Giugno 2022
La quota di aderenti agli strumenti di previdenza, tra i clienti delle reti di consulenza – oggi al 27% – cresce più del resto della popolazione ma se andiamo a leggere i dati di raccolta dei fondi pensione e dei Piani individuali pensionistici di tipo assicurativo (PIP) vediamo che la percentuale oscilla tra un misero + 2% e +3%.
È noto che gli italiani abbiano da sempre un rapporto complesso con la previdenza integrativa e complementare, e questo nonostante sia diffusa la consapevolezza che la pensione dell’Inps non basterà a mantenere lo stesso livello di vita nel periodo post-lavorativo.
Se da un lato la domanda è debole non è che l’offerta sia così brillante. Consulenti finanziari, banker, broker e agenti hanno una responsabilità chiave. Sarebbe utile se lavorassero anche per creare maggior consapevolezza, soprattutto tra i giovani.
Il ruolo dei professionisti è essenziale per promuovere una maggiore educazione finanziaria in materia previdenziale: il 72% dei clienti non ha mai affrontato questa tematica con il proprio consulente finanziario (era l’81% un anno fa).
Il ruolo dei professionisti e in particolare dei consulenti finanziari è anche fondamentale per guidare i clienti nella scelta dello strumento corretto di previdenza integrativa: maggiore è l’orizzonte a disposizione, maggiore dovrebbe essere il profilo di rischio e rendimento.
Dalle ricerche condotte da Finer emergono alcuni dati che dimostrano un leggero aumento della sensibilità: si è passati dal 75% (di un anno fa) al 79% degli individui tra i 55 e i 60 che hanno consapevolezza di queste tematiche, dal 52% al 55% tra i 45 e i 54 anni, dal 28% al 31% per i 30-35enni.
Dati che se si spiegano con la spensieratezza e le minori risorse economiche dei più giovani sono però assolutamente irrazionali: i 30-35enni, oltre ad essere i soggetti più toccati dal tema previdenziale, sono anche quelli che hanno la possibilità di accantonare prima e dunque meglio.
In larga parte è un problema culturale nostrano. Il 39% degli italiani pensa infatti che la pensione non sia un problema (era il 42% un anno fa): nel caso in cui dovesse mancare la liquidità necessaria per sostenersi continuerebbero a lavorare o venderebbero gli immobili di famiglia. Il 22% (era il 17% un anno fa) invece afferma che nel caso di risorse diminuite adeguerà di conseguenza il proprio tenore di vita.
Oltre alle barriere culturali vi sono altri temi, come i costi, la trasparenza e l’accessibilità. Se è vero che gli italiani hanno più fiducia nella pensione integrativa (66%) che in quella pubblica (34%), per accedervi, però, cercano un consulente affidabile e preparato.
La fiducia nel consulente finanziario e la sua affidabilità sono centrali, oltre la metà (52%) degli italiani si dichiara incapace di definire da solo il piano pensionistico più adatto alle sue esigenze.
Il ruolo del consulente nel fare da intermediario culturale è dunque centrale proprio perché tra le barriere vi è quasi sempre un tema di incomprensibilità e scarsa fiducia nell’offerta.
A ben vedere l’eccesso di liquidità sui conti correnti (2.000 miliardi), la scarsa propensione ad assicurarsi degli italiani (solo il 10% è adeguatamente protetto dai rischi basilari come, responsabilità civile, vita e salute) e la mancata presa in carico del tema della previdenza integrativa sono tutti fenomeni legati tra di loro.
Per sciogliere questa matassa che appare a volte ingarbugliata occorre un professionista che sappia conquistarsi la fiducia dei clienti, il resto, temiamo, conti molto poco.
Nicola Ronchetti