più forte con nuove regole
QUALE SCHEMA DI GIOCO ADOTTARE PER VINCERE IL CAMPIONATO
Il mercato delle reti dei consulenti finanziari – pur in ottima salute – si sta avviando ad una maturità forse meno serena di quello che si sarebbe potuto pensare qualche anno fa. Tre le cause:
- la MIFID 2 porterà ad una riduzione dei margini di intermediazione e gestione stimata tra il 3% e l’1%, anche per l’aumento (+ 30%) dei costi di compliance e legali che i distributori devono sostenere per essere appunto “MIFID 2 compliant”
- l’avvento di nuovi competitor non convenzionali (Bigtech e Fintech in primis) da Amazon a Money Farm, ma anche degli investimenti “passivi” (ETF) che stanno crescendo oltre il 15% da due anni a questa parte
- la domanda che si fa sempre più complessa da intercettare (il bacino dei clienti dei consulenti finanziari cresce meno proporzionalmente delle masse: + 10% vs. + 400% negli ultimi 5 anni).
I millenials, che già oggi rappresentano il 10% dei clienti dei consulenti finanziari, tra 10 anni rappresenteranno oltre il 50% del loro bacino potenziale. Costoro, essendo nativi digitali, sono per indole e natura più attratti da piattaforme digitali D2C (Direct to Consumer) e meno dalla consulenza face-to-face.
La MIFID 2 sta portando ad una forte pressione dei costi che mostra già le prime evidenze sui margini e quindi in ultima analisi sulla redditività dei portafogli. I primi a farne le spese sono i consulenti finanziari: se una volta un portafoglio medio di 10 milioni di Euro garantiva mediamente tra il 2% e l’1,5% oggi siamo mediamente sotto l’1% ed infatti assistiamo ad un innalzamento del portafoglio medio dei consulenti finanziari ben oltre la soglia dei 15 milioni di Euro, pena la non sostenibilità economica della professione.
Delle principali 10 reti di consulenti finanziari che operano in Italia e che di fatto fanno quasi il 90% del mercato, quelle che forse soffriranno di più saranno le reti che non riusciranno ad offrire consulenza e quindi performance di elevato standing (per intenderci sopra il 3-4%) e quindi non riusciranno a farsi riconoscere e – soprattutto a farsi pagare – fee adeguate.
Tuttavia la maturità del settore sta portano con sé anche una differenziazione delle reti su tre direttrici: 1) la rete “multitasking”; 2) la rete “digital”; 3) la rete “private”.
Dovendo mappare le 10 principali reti operanti in Italia possiamo dire che 4 fanno parte fanno a pieno titolo del modello “multitasking”, 2 del modello “digital” e 4 del modello “private”. In realtà questa classificazione ha dei limiti perché a ben vedere esistono – sempre tra le 10 principali reti – modelli ibridi: “digital” + “private” + “multitasking”; “private” + “digital”; “multitasking” + “digital”, “private” + “multitasking”.
Il modello “multitasking” è la rete, o meglio, la banca-rete, che offre – anche tramite i propri consulenti finanziari – ai propri clienti, soluzioni di investimento ed anche prodotti bancari, di credito al consumo ed assicurativi (mutui, finanziamenti, carte di credito, assicurazioni ecc.) per i quali il consulente finanziario viene remunerato ed anche in modo interessante (mediamente intorno all’1%) in modo da compensare la riduzione dei livelli provigionali sui prodotti di investimento OICR.
Esiste poi il modello “Private”, reti di consulenti finanziari, sempre di più ultimamente, che sembrano puntare su una fascia alta di clienti e quindi di consulenti finanziari. Queste realtà sono diventate in pochi anni veri e proprie “banche private” che, rotto il monopolio delle banche private storiche, mietono un successo dietro l’altro sia in termini di raccolta netta che di capacità di attrarre i migliori talenti.
Infine esiste il modello “Rete digitale”, ovverosia una rete in cui il consulente finanziario ha sempre il suo ruolo ma è spesso affiancato da piattaforme tecnologiche di avanguardia, che in molti casi e soprattutto per i clienti di fascia bassa o più smart sostituiscono o ridimensiono il ruolo del consulente stesso.
Quanto peserà MIFID2 nella riduzione dei costi? Quale modello è più pressato? MIFID 2 peserà tantissimo (-3-5%) nella riduzione dei costi per il cliente finale ed ugualmente nell’aumento (+30%) dei costi per il distributore (si pensi solo ai costi di adeguamento alla normativa, a quelli di compliance ed a quelli legali).
Il modello che subirà le pressioni maggiori sarà il modello “private” basato solo o prevalentemente sulla consulenza finanziaria, perché o la consulenza è al top ed è super efficace (leggi rendimenti alti e comunque superiori alle aspettative del cliente) o in caso contrario emergeranno i costi – messi a nudo da MIFID 2- che in alcuni casi potrebbero superare i guadagni per il cliente.
Questo è il caso limite, ma ipotizzando che i costi per i clienti dovessero essere superiori del 10-20% di quanto gli stessi si aspettano, potremmo assistere ad una fuga dal proprio consulente che nella più pessimistica ipotesi potrebbe ridurre della metà la clientela servita dai consulenti finanziari.
Ma attenzione, esiste anche la possibilità di trovare una buona via di uscita anche in questo caso: se invece di proporre investimenti “alla carta” l’industria del risparmio gestito proponesse una selezione di investimenti tipo “menù degustazione”, avrebbe due vantaggi. Il primo vantaggio è che il costo del singolo prodotto o – per entrare in metafora – “piatto” è meno esplicito essendo parte di un pacchetto (“wrapped offer”). Il secondo vantaggio è che se ha un bravo gestore (o “chef”) l’industria potrebbe riuscire a giustificare la qualità della consulenza ed a farsi pagare il “servizio” che è in grado di offrire. Quando uno va in un ristorante stellato non si pone il problema di quanto costi un litro d’acqua o il coperto perché, se è fortunato, vive un’esperienza indimenticabile.
Se così non fosse sarebbe un problema, non solo per i consulenti finanziari ma anche e forse soprattutto per i private banker dipendenti (oggettivamente dotati di minor autonomia decisionale e quindi maggiormente guidati nelle loro scelte da logiche aziendali e non individualmente professionali).
Il modello “multitasking” probabilmente riuscirà meglio a reggere l’impatto di MIFID 2 perché poggia le sue fondamenta economiche e finanziare non solo e non tanto sugli OICR ma su altri servizi e prodotti bancari, assicurativi e di credito al consumo in grado, ancor oggi, di generare margini soddisfacenti (pensiamo ad esempio alla cessione del quinto dello stipendio).
Infine il modello “digital” è quello che certamente subirà meno pressione sui costi, perché per definizione nasce come facilmente accessibile, semplice e trasparente e, forse in ultima analisi meno dipendente dal consulente finanziario che se è bravo è un valore ma se lo è meno è solo un costo in più da caricare sul cliente finale, che poi è sempre quello che paga il conto alla fine della cena.
Ed è proprio sul cliente finale che l’industria del risparmio gestito si sta sempre più interrogando, ma non solo l’industria. CONSOB da anni attua confronti incrociati tra quanto dichiarato dai consulenti e quanto percepito dai clienti, ciò allo scopo di intercettare eventuali distonie cognitive e di contribuire a ridurle.
Effettivamente l’attività di ascolto del cliente delle banche e delle reti, dopo un breve periodo di gloria, è diventata – quando presente – un’attività routinaria, fatta perché non se ne può proprio fare a meno, ma anche realizzata in modo poco strutturato cercando più spesso di ridurre al limite i costi di rilevazione che non di innalzarne la qualità e di cercare di “scaricare a terra” le evidenze per implementare i processi.
Ebbene se è vero, come è vero, che il cliente diventerà sempre più protagonista e sempre meno legato alle banche tradizionali, il non ascoltarlo o non dare seguito alle sue richieste potrebbe presto passare da peccato veniale a peccato mortale.
Valorizzare le competenze dei migliori professionisti, far crescere la credibilità e la reputazione del brand e la capacità di ascolto dei clienti potrebbero trasformare la MIFID 2 in una passeggiata all’aria aperta, al contrario nel peggior incubo in cui si possa capitare.
Nicola Ronchetti