Investire | Febbraio 2025
Il risiko in atto nel settore bancario – innescato da anni di vacche grasse per le banche – poggia su evidenti ragioni finanziarie, abbassamento dei tassi, economie di scala e di scopo, ma sembra mettere in secondo piano le conseguenze sulle scelte dei professionisti che in esse vi lavorano.
È altamente probabile che l’attuale risiko possa indurre i professionisti – soprattutto quelli migliori e che hanno un mercato – a valutare se restare o cambiare banca, e questo almeno per quattro motivi.
Il primo motivo è organizzativo: qualsiasi fusione o acquisizione comporta una serie di complessità che vanno dalla scelta dei ruoli apicali, dall’organigramma alla revisione degli aspetti retribuitivi, dall’organizzazione delle strutture commerciali, amministrative, all’integrazione dei sistemi, dalla comunicazione interna ed esterna alla gestione dei clienti.
I consulenti finanziari e i private banker sono molto sensibili a questi fattori e all’impatto che hanno sulla loro relazione con il cliente, negli anni abbiamo assistito a uscite significative di professionisti da una banca all’altra proprio per grandi inefficienze su questo fronte.
Il secondo motivo è personale. Chi lavora in una banca ne assorbe i valori, la cultura, spesso sviluppa anche un senso di appartenenza, nutre aspirazioni personali che possono essere frustrate o meno da un’integrazione con un’altra realtà.
Tutto ciò ha un impatto ancora maggiore tanto più elevata è la differenza tra le realtà in gioco in termini di immagine percepita da tutti gli stakeholder, dipendenti, clienti e azionisti.
Infatti il terzo motivo è legato all’immagine delle banche in gioco.
Stupisce – per chi fa l’analista di mercato – che quasi mai vi sia un calcolo scientifico del valore del marchio delle banche oggetto di acquisizione e integrazione, e che, di conseguenza, il valore della brand equity entri raramente nei piani industriali delle OPA, se non allo stesso livello delle cosiddette sinergie finanziarie e dei vantaggi fiscali, almeno però come una delle variabili.
D’altronde – rispetto agli anglosassoni e ai francesi – noi italiani tendiamo a sottovalutare il valore dei nostri brand e marchi storici, non volendo o – forse – non sapendone sfruttare il potenziale. Sorprende ancora di più la bassa attenzione riservata al valore dell’immagine quando in gioco ci sono vere e proprie icone che – nelle giuste mani – potrebbero fare la differenza sul mercato.
Il quarto motivo che induce un professionista a valutare se restare o cambiare banca è connesso alla reputazione e alla leadership del management. Una reputazione e una leadership forti, una chiara strategia, la scelta delle persone giuste e soprattutto la capacità di comunicare il tutto in modo efficiente sono determinanti per il successo di qualsiasi acquisizione ostile o meno che sia.
Ci sono stati casi recenti – come quello di Intesa Sanpaolo e UBI – di successo con un’integrazione riuscita bene e in tempi relativamente stretti, che hanno richiesto manager illuminati e credibili, sforzi economici, tempi e risorse importanti e grande capacità di comunicazione sia interna alla banca che esterna sul mercato.
Dietro il successo delle operazioni di M&A nel settore bancario-finanziario vi è poi quasi sempre il riconoscimento da parte del conquistatore dell’onore delle armi e la valorizzazione delle figure apicali del conquistato nella nuova realtà.
Se non si è in grado di valutare e gestire l’impatto di tutti questi quattro fattori, l’unica cosa certa è che il valore della nuova banca sarà inferiore alla somma delle due, e questo con buona pace dei nuovi azionisti.
Nicola Ronchetti