ruolo centrale del consulente
In Italia, si risparmia ancora molto (oltre otto italiani su dieci) ma si investe meno di dieci anni fa (3 su dieci, erano 5 nel 2002), anche se il trend sembra in leggera crescita, più quattro miliardi di Euro giacciono lasciati a sé stessi, o meglio, non gestiti, sui conti correnti.
Una grande opportunità persa non solo per i risparmiatori che avrebbero potuto ricavarne mediamente un consistente guadagno ma anche per l’industria del risparmio gestito che – anche grazie ai PIR – pompa linfa vitale all’economia reale.
Di chi è la colpa di tutto ciò? Gli italiani più di altri risparmiatori europei hanno la memoria lunga e basta una scottatura per tenersi lontani dal sole e di scottature di italiani ne hanno prese parecchie in passato (Cirio, Parmalat, Bond Argentini) ma anche più recentemente con le banche locali (venete e non solo).
È indubbio che nella scelta di investire e di avvicinarsi al mercato finanziario un ruolo fondamentale lo giochi – quando c’è – il proprio referente degli investimenti. Quando c’è perché oltre il 30% degli italiani non ha un consulente degli investimenti e quindi preferisce fare da sé o – forse meglio – non fare proprio e quindi parcheggiare i soldi sul conto corrente.
Ma quando decide di affidarsi ad un professionista la differenza si vede: la soddisfazione per i rendimenti legati ai propri investimenti raddoppia letteralmente rispetto a chi fa da sé. Ancora più rilevante è la soddisfazione tra chi si affida ad un consulente finanziario certificato ed iscritto all’OCF o al gestore bancario della propria filiale e chi ad un referente generico.
Il consulente mantiene ancora un vantaggio rispetto al gestore bancario anche se il vantaggio sembra assottigliarsi sempre di più, ma in entrambi i casi rimane abissale rispetto alle figure meno professionalizzate: tutto ciò ad indicare che la professionalità e la certificazione delle competenze tramite l’iscrizione ad un albo che prevede un esame o richiede comunque un’esperienza consolidata nel tempo rimangono fattori critici di successo.
Ma la vita anche per il professionista degli investimenti – sia un consulente finanziario o un gestore bancario – non è così semplice, da gennaio è arrivata la MIFID 2 vero spauracchio per tutta l’industria, ma sarà vero o è solo tanto rumore per nulla?
Incominciamo a dire che la MIFID 2 da bella sconosciuta – fino a poco tempo fa dichiarava di conoscerla solo un italiano su dieci – è assurta agli onori della cronaca, complici i fiumi di inchiostro sui giornali e la documentazione che ogni cliente ha ricevuto al proprio domicilio dalla propria banca, arrivando oggi a livelli di conoscenza – dichiarata – di quasi quattro italiani su dieci.
Ma il vero tema di MIFID 2 non è solo la conoscenza più o meno alta o più o meno in crescita, quanto gli impatti che una trasparenza dei costi possa portare ad una disaffezione degli italiani verso gli investimenti e verso chi li gestisce per loro conto.
E qui i dati sono drammatici: solo quattro italiani su dieci dichiarano di conoscere i costi della consulenza, altri tre ammettono di non saperne nulla ed i rimanenti tre pensano che tutto sia gratis. Ma le percentuali aumentano quando si ipotizza che i costi – ad oggi sconosciuti ai più – siano di molto (+10/20%) superiori a quelli attesi: qui lo scenario potrebbe diventare complesso, oltre cinque italiani su dieci dichiarano che a fonte di questa brutta sorpresa lascerebbero il proprio referente, quasi certamente per portare i remi in barca, o più prosaicamente, i soldi sul conto corrente.
La domanda sorge spontanea, l’industria del risparmio gestito è seduta su una bomba ad orologeria pronta ad esplodere ai primi rendiconti – verosimilmente a fine 2018 – in cui saranno esplicitati in valore assoluto i costi della consulenza o comunque della intermediazione finanziaria?
Non crediamo che ci sia questo rischio, a dircelo solo ancora una volta i numeri: la fiducia e la soddisfazione per i professionisti del risparmio da parte dei loro clienti cresce a vantaggio dei professionisti più preparati, più propensi all’ascolto ed alla presa in carico delle istanze dei clienti.
Molto rumore per nulla dunque a patto che ai clienti non si siano proposte lucciole per lanterne o fischi per fiaschi ma questo non è certamente il caso dei consulenti finanziari più preparati e seri per gli altri potrebbero invece essere guai.
Nicola Ronchetti