Il ritorno del Robo Advisor
Advisor | Dicembre 2020
Molti autorevoli rappresentanti del private banking, dell’industria del risparmio gestito e della consulenza finanziaria ci ricordano ogni giorno a quanto ammonta la liquidità sui conti correnti degli italiani (per la cronaca siamo a quasi 1.700 miliardi di Euro).
I più preparati sottolineano che i nostri cugini francesi e tedeschi non sono da meno, anzi ci superano, con 2.000 e 3.000 miliardi di Euro in liquidità. Mal comune mezzo gaudio?
La pandemia ha accelerato questo processo, perché quando si teme per la propria incolumità, aumenta la percezione di vulnerabilità viene naturale mettere fieno in cascina, come si faceva quando si annunciavano le carestie nel medioevo.
Che questo comportamento non sia razionale, ormai lo hanno capito anche i sassi, in ogni c’è sempre chi non perde l’occasione per sciorinare grafici che dimostrano come il mercato azionario non abbia mai tradito nel lungo termine.
Per essere pienamente efficace l’analisi e i grafici andrebbero fatti però bilanciando perdite e guadagni dei singoli clienti che, come è noto, tendono a entrare in borsa ai massimi ed uscire ai minimi, con conseguenze disastrose.
Se oggi le reti dei CF sono il più importante baluardo del risparmio gestito lo si deve proprio alla loro capacità di gestire l’emotività, frenando l’impulsività delle scelte sbagliate dei propri clienti.
Meno spesso capita invece di ascoltare un’analisi approfondita delle motivazioni che spingono i risparmiatori italiani a non investire. È semplice fare la diagnosi, più complesso trovare le cause e lavorare sulle soluzioni.
Raramente si sente anche parlare di “mancanza di fiducia dei clienti”, di “offerta scarsamente proattiva”, ancor meno di “validazione delle competenze dei professionisti”.
Non è un caso che in questo contesto si torni a parlare di robo advisor: se i professionisti (l’uomo) non riescono a convertire la liquidità in risparmio gestito, si prova con un algoritmo (la macchina).
Molto interessante al riguardo uno studio di CONSOB (7° quaderno Fintech, 21 settembre 2020) sui comportamenti di una specifica fascia di potenziali clienti di robo advisor: la probabilità che un individuo segua una raccomandazione di investimento prescinde dal fatto che il consulente sia fisico o digitale.
È bene ricordare che dietro un algoritmo c’è un uomo che lo ha programmato e un’organizzazione fatta di uomini che lo diffonde. Il successo di un robo advisor dipende molto dalla credibilità di chi lo ha ideato e da chi e come lo propone ai propri utenti finali.
Nel 2019 Poste Italiane e Money Farm hanno siglato il maggiore accordo di integrazione API (Application Program Interface) nel settore del risparmio gestito europeo in termini di base clienti coinvolti (35 milioni) basato su un sistema di open innovation.
In questo caso a consentire il lancio su grande scala è stata proprio la credibilità, la reputazione e le dimensioni di Poste Italiane a cui Money Farm si è accodata.
Immaginiamo che altre realtà ugualmente blasonate possano fare altrettanto e ancora con maggior successo; cosa ne sarebbe in questo caso dei consulenti finanziari poco proattivi e incapaci di gestire l’emotività dei loro clienti?
Certamente assisteremmo a un’immediata ecatombe dei professionisti più mediocri, all’innescarsi di una selezione naturale a cui sopravvivrebbero solo i migliori, esattamente come successe in UK qualche anno fa con l’applicazione della Retail Distribution Review (RDR).
È dunque fondamentale che i migliori consulenti riprendano a incontrare come prima o più di prima – anche se per ora solo virtualmente – i loro clienti. I mediocri si rassegnino pure: i loro clienti li sostituiranno presto con un algoritmo.
Nicola Ronchetti