Investire | Gennaio 2023
Negli ultimi quattro anni le relazioni tra le Società di Gestione del Risparmio (SGR) e i loro distributori, in particolare le reti dei consulenti finanziari, i private banker e i gestori bancari, sono cambiate radicalmente.
Dall’iniziale amore forse, a volte, anche un po’ troppo incondizionato, che ha portato nel giro di poco più di quindici anni a passare da due o tre SGR terze in portafoglio a decine di società, si è arrivati oggi a una sorta di resa dei conti.
Il numero delle SGR accreditate e con accordi di distribuzione diretta è calato mediamente di un terzo in meno di dieci anni.
Molti distributori hanno ceduto alla tentazione di fare da sé ovverosia di valorizzare le SGR cosiddette di casa, ove già presenti, oppure di crearsi delle società di gestione del risparmio interne.
Le gestioni in delega, cioè quelle in cui l’asset manager terzo gestisce non in proprio ma per conto del proprio distributore un fondo di investimento, spesso il clone di un altro venduto alla carta, sono aumentate a dismisura.
Il vantaggio per i distributori è evidente e, quantomeno, triplice.
Innanzitutto si contengono i costi spuntando condizioni migliori dalle stesse SGR.
Secondo si semplificano i processi interni (meno accordi attivi meno complessità).
Terzo si “blindano” i consulenti finanziari rendendo più complesso il trasferimento di fondi in caso di un eventuale passaggio ad un’altra rete o banca.
In questo contesto ci si aspetterebbe una sorta di ritirata silenziosa da parte delle molte SGR che operano sul mercato italiano, chi da decenni e chi da pochi anni.
E invece sta succedendo esattamente l’opposto: il numero di SGR presenti in Italia invece di diminuire aumenta.
A sottolineare la reattività del settore stiamo assistendo a un’impennata delle spese di comunicazione e marketing, non legate al pay to play, soprattutto per le società con minori AUM che mirano a crescere in termini di brand awareness.
Dall’altro lato le grandi SGR consolidano le loro posizioni, rafforzando il patto di fiducia direttamente con i singoli professionisti attraverso la gestione di community, App, webinar e occasioni di confronto a frequenza periodica, settimanale e in alcuni casi quotidiana.
Certo non è tutto oro quello che luccica, si riduce il numero dei top manager all’interno delle SGR, preferendo puntare su figure più orientate alla vendita piuttosto che alla rappresentanza istituzionale, prediligendo risultati nel breve medio termine e contando su relazioni apparentemente già consolidate.
Sembra esserci una ratio in tutto questo. l’Italia è un paese ricco di opportunità per le SGR estere, duemila miliardi di liquidità e un tasso di risparmio che, pur subendo un rallentamento, è ancora solido e poi – fondamentale – un sistema di distribuzione che rappresenta un unicum nel contesto internazionale.
Il fatto che si riducano le possibilità di stabilire accordi di distribuzione, ma aumentino i pretendenti, causa un aumento della competizione con una conseguente riduzione dei margini per le SGR e un aumento del potere negoziale da parte dei distributori.
Come uscire da questo circolo vizioso? Gli ingredienti sono tanto semplici quanto difficili da realizzare: qualità dei prodotti di investimento (rapporto costi/rendimenti) ma soprattutto la unicità degli stessi.
In un settore maturo che tende ad omologare l’offerta, diventa fondamentale dare un’identità al proprio brand e alle proprie soluzioni di investimento, valorizzando le attività dei team commerciali e di marketing a supporto dei distributori.
Tutto ciò è una condizione necessaria per non essere percepiti come una commodity e quindi essere costretti a lavorare solo sulla riduzione dei costi a volte a scapito della qualità.
Nicola Ronchetti