ancora un tabù, ma non per le donne
Italiani popolo di eterni ottimisti o di spensierati sognatori? Sembrerebbe se consideriamo che soltanto il 20 % dei nostri connazionali ritiene che il tema del passaggio generazionale possa arrivare a riguardarlo in un prossimo futuro. L’incidenza aumenta se consideriamo gli imprenditori, ma anche in questo caso non si arriva a percentuali totalizzanti: si rimane ancorati infatti a un misero 30 %.
Che cosa significa tutto questo? Che la maggior parte degli italiani non vuole affrontare la questione, forse per un ben noto atteggiamento di atavica scaramanzia che caratterizza da sempre la mentalità degli italiani secondo i quali sarebbe sufficiente un gesto di scongiuro per eliminare alla radice il problema.
Non è così infatti nel resto dell’Europa dove l’argomento viene affrontato in modo più sistematico dal 50 % degli individui cioè da un cittadino europeo su due. Interessante rilevare come il tema della successione e del passaggio generazionale venga affrontato in modo diverso da parte degli uomini e delle donne: gli uomini tendono a esorcizzarlo le donne hanno invece un atteggiamento più razionale, forse frutto del loro innato senso materno. In che cosa consistono le differenze tra i due generi?
A rispondere alla domanda sono due diverse ricerche: la prima è la Finer100 top Italian Hnwi (High net Worth individual) condotta su un campione di uomini e donne con un patrimonio finanziario personale superiore ai due milioni di euro, la seconda una ricerca realizzata dal Censis per conto di Aipb (Associazione Italiana del Private Banking).
Partendo dalla ricerca Finer sugli Hnwi italiani, intervistati in quanto rappresentativi di un’élite che i sociologi considerano anticipatrice (trend setter o early adopter) di fenomeni che poi a seguire si estendono a più ampi segmenti della popolazione, dallo studio emerge come il 100 % delle donne sia sensibile al tema del passaggio generazionale, contro l’80 % degli uomini.
Non solo, il 95% delle donne ha affrontato e risolto il problema contro un 79% degli uomini. Ulteriori differenze emergono analizzando come il tema del passaggio generazionale sia stato affrontato e poi risolto. Gli uomini si affidano a patti di famiglia, trust e fiduciarie, che coinvolgono direttamente professionisti (notai, avvocati, consulenti finanziari e commercialisti) nel 74 % dei casi rispetto al 66 % delle donne.
Viceversa le donne danno più valore alla formalizzazione testamentaria delle proprie volontà (76 % contro il 61 % degli uomini). Non solo, le donne si affidano, si fanno consigliare o condividono le scelte con un proprio discendente più giovane (tipicamente figli o nipoti) in misura nettamente maggiore rispetto agli uomini: il 57 % delle donne rispetto al 14 % degli uomini.
Sarà anche questo un effetto ancestrale e materno? Difficile poterlo affermare con sicurezza, ma sembrerebbe di sì, come pure potrebbe darsi che l’uomo, per salvaguardare la sua privacy, anche all’interno del suo nucleo famigliare, preferisca coinvolgere professionisti esterni.
Infine le donne tengono ad apprezzare molto di più i rapporti personali e la capacità di ascolto del proprio referente per gli investimenti (donne 37 %, uomini 22 %), rispetto alle sole performance/risultati ottenuti (donne 63 %, uomini 78 %).
È anche molto interessante valutare il punto di vista degli imprenditori sul tema del passaggio generazionale anche nell’azienda di famiglia.
Dalla ricerca Censis per Aipb emerge come tra gli imprenditori che dichiarano di avere avviato in concreto il trasferimento agli eredi del patrimonio aziendale, il 51 % ha proceduto a cointestazioni e intestazioni a favore degli eredi, il 37 % ha realizzato patti di famiglia sull’azienda o sulle partecipazioni societarie, il 26 % ha proceduto a redigere un testamento, poi – a grande distanza – seguono donazioni formali presso il notaio (9 %) e polizze assicurative (8 %).
Nella pianificazione e nella concreta realizzazione del passaggio generazionale dell’impresa, resistenze psicologiche e culturali si intrecciano con difficoltà pratiche e oggettive: la principale, riscontrata dal 36 % degli imprenditori, è quella di riuscire a garantire la continuità dell’azienda, seguita, a breve distanza, dalla volontà, tutta interna alle dinamiche familiari, di non scontentare alcun erede (33 %).
Il 22 % inoltre, indica il nodo critico costituito dall’individuazione di un soggetto che possa costituire il sostituto adatto e il 9 % confessa la resistenza personale (con tanto di scongiuri) a dover pensare da subito a quando l’impresa sarà di altri.
Il passaggio generazionale costituisce un momento fondamentale per la vita dell’azienda ma è al tempo stesso punto di debolezza nel ciclo di vita di una impresa. Accompagnare e supportare il passaggio generazionale nelle aziende, garantendone continuità e vincendo le resistenze, materiali e psicologiche degli imprenditori richiede tanta pazienza e professionalità.
Quanto più si svilupperà un trasferimento generazionale fluido, tanto più saranno abbattuti i costi sociali che oggi ricadono su occupati, stakeholder e comunità per aziende che entrano in crisi o non riescono a garantire la continuità oltre il fondatore e/o attuale imprenditore.
Il tema del passaggio generazionale nelle famiglie e nelle imprese è dunque fondamentale per la protezione del patrimonio degli italiani, e quindi per lo sviluppo del Paese e il sostegno dell’economia reale: occorre abbandonare la nostra atavica scaramanzia e affrontarlo con lucidità, oltre i gesti scaramantici.
Nicola Ronchetti