Aprile 2022
Scenario Mondo Consulenza
Quali sono i principali trend che riguardano il mondo della consulenza oggi in Italia e all’estero?
Venti anni fa Andrea Viganò allora Country Head di BlackRock mi disse, Nicola vedrai che anche in Italia succederà quello che è successo negli Stati Uniti, ovvero il mercato dei clienti private e HNWI passerà progressivamente nelle mani dei consulenti finanziari (in USA e UK ci sono gli IFA Independent Financial Advisor).
Io lo guardai un po’ sgomento, era inimmaginabile all’epoca pensare che quelli che erano allora i promotori finanziari, visti da alcuni con sospetto e diffidenza e tacciati, dagli immancabili detrattori, come dei venditori porta a porta, potessero gestire il patrimonio dei clienti più ricchi e patrimonializzati, i clienti private e HNWI, appunto.
Ebbene quella profezia si è avverata. Oggi il 41% degli asset under management delle reti è riconducibile a clienti private e HNWI che in soli sette anni sono passati da un milione e duecentomila a due milioni e novecentomila (vedere grafico n°1).
Quasi sempre infatti i paesi anglosassoni sono per la finanza un’ottima variabile proxy di quello che poi più o meno puntualmente si verifica nel vecchio continente.
Così è per il mondo della consulenza finanziaria, dove ci si sta progressivamente muovendo dalla pura gestione dei risparmi alla consulenza patrimoniale. Ovverossia alla gestione delle esigenze del cliente nella sua interezza: individuo, famiglia e, ove presente, impresa.
Oggi i più visionari tra capi delle reti e i consulenti finanziari più evoluti hanno sostituito la parola consulenza patrimoniale con pianificazione patrimoniale.
Contrariamente a quello che uno potrebbe pensare non è questione solo etimologica o di lana caprina, ma è l’essenza del futuro della professione.
Da consulente finanziario a consulente patrimoniale. Perché questa evoluzione e cosa implica per i professionisti del settore?
Se mi permette la chiamerei appunto pianificazione patrimoniale termine che abbraccia la consulenza ma non solo. Le tre colonne portanti della pianificazione patrimoniale sono infatti la gestione del risparmio, la protezione e il credito.
Ci sono alcune reti di consulenza finanziaria che sono diventate delle vere e proprie banche, sostituendo quelle di prossimità, affiancando all’offerta di soluzioni di investimento quella di polizze assicurative, mutui, prestiti personali per arrivare al corporate financing per imprese e imprenditori.
Non tutte le reti sembrano abbracciare questo approccio, ci sono infatti alcune reti che preferiscono focalizzarsi solo sulla gestione del risparmio attraverso investimenti finanziari eventualmente inseriti in package assicurativi ma ai soli fini della protezione degli stessi e per finalità fiscali e successorie.
Chi governa le reti più restie ad aprire a un’offerta assicurativa (ramo danni, vita e salute) ha due giuste preoccupazioni: 1) la consapevolezza che non ci si può inventare assicuratori o corporate advisor dalla sera alla mattina se non assumendo specialisti; 2) il modello di servizio assicurativo o del credito è diametralmente opposto a quello degli investimenti, a partire dal fatto che in un caso il rischio lo copri, nell’altro lo fai assumere.
Proprio per questo chi crede nella proposizione di servizi che vadano oltre la gestione dei risparmi, ritenendo che protezione e credito possano agevolmente e funzionalmente convivere nel paniere di un buon consulente finanziario con le soluzioni di investimento, è solito affiancarlo con specialisti della protezione e del credito.
Quale sia il modello vincente è presto per dirlo, certamente è sotto gli occhi di tutti che l’industria bancaria e finanziaria parli ormai quasi solo di welfare & protection come se fossero un unicum.
Da singolo professionista a leader di un team. Perché il consulente patrimoniale non può più fare a meno di coinvolgere altre professionalità nel suo lavoro al servizio del risparmiatore?
Proprio per quello che abbiamo appena rilevato è oggi del tutto impossibile che in capo a un singolo professionista possano coesistere competenze tanto diverse quali quelle della protezione, del credito a cui dobbiamo aggiungere, giocoforza, anche le tematiche fiscali, di passaggio generazionale e successorie ancora oggi un tabù in Italia – rispetto ad altri paesi europei e anglosassoni – per individui e imprenditori (vedere grafici n° 3 e 4).
Il consulente patrimoniale nell’arduo compito di assistere il proprio cliente e il suo nucleo familiare non può oggi fare a meno di un pool di professionisti specialisti delle diverse materie.
Pensiamo ad esempio agli imprenditori italiani, i cui abituali interlocutori sono tipicamente e innanzitutto il commercialista, a seguire poi l’avvocato e il notaio di fiducia.
Ebbene sia che queste competenze siano interne alla propria rete o che siano esterne il ruolo a cui un buon consulente patrimoniale deve aspirare è quello del pivot, altrimenti detto del collettore delle istanze del cliente o, meglio del direttore di orchestra rispetto a tanti solisti quali sarebbero i singoli professionisti se non coordinati tra loro.
Ovviamente questo è un percorso che si compie passo dopo passo, inizialmente, ad esempio nel caso dell’imprenditore, è bene attivare un approccio graduale evitando la competizione ma cercando la coopetizione con gli altri professionisti che lo assistono (tipicamente il commercialista, o il direttore finanziario) cercando di offrire loro soluzioni che possano – al limite – anche auto attribuirsi.
Si tratta di una vera e propria maratona che non tutti i consulenti sono disponibili a correre o a cui sono adeguatamente preparati, è fuori di dubbio tuttavia che i migliori sono già in pista e non da oggi.
La disponibilità a lavorare in team è maggiore tra i consulenti finanziari rispetto ad altre figure (vedere grafico n° 5), proprio perché i primi sanno che il cliente si serve con un approccio corale nella corretta convinzione che il cliente condiviso con professionisti di valore è un cliente più soddisfatto e più fedele nel tempo.
Il futuro della professione: quale sarà il ruolo del consulente patrimoniale?
Per parlare di futuro dobbiamo inevitabilmente partire da qualche dato.
Partiamo dal fatto che nel 1991 i clienti dei CF erano 2,9 milioni, oggi sono quasi 5 milioni, e il mercato è tutt’altro che saturo.
Mancano all’appello quasi 5 milioni di clienti affluent o upper affluent, il 75% di costoro con giacenze medie annuali sul conto corrente di oltre duecentomila euro non sente il proprio gestore bancario da oltre dodici mesi.
La proattività e la passione per il proprio lavoro hanno viceversa consentito ai consulenti finanziari di sopravvivere ai marosi della finanza e soprattutto a un mercato che all’inizio non li capiva, poi ha iniziato a rispettarli e oggi ne esalta il modello.
Il risultato è che il 75% dei clienti è completamente soddisfatto del proprio CF (vs. 34% di altre figure). Negli anni è cambiato anche il rapporto mandante-consulente: cresce l’importanza della mandante in termini di solidità e affidabilità (+45% in 20 anni) e il ruolo del digitale (+34% nell’ultimo anno) (vedere grafici n° 5 e 6).
Il consulente avverte anche l’esigenza di essere sempre aggiornato e preparato: formazione e certificazione delle competenze sono infatti diventate un must (+17%) negli ultimi dieci anni (vedere grafico n°7).
Il potenziale di crescita per questa professione è ancora enorme: oltre il 25% dei clienti private è ancora oggi servito da una banca generalista che offre livelli di servizio inferiori alle aspettative di questa clientela che è più esigente e patrimonializzata della media.
Due sono le dunque le grandi sfide della professione per il prossimo futuro: la prima è quella della capacità di attrarre giovani talenti, donne e uomini ad elevato potenziale, magari provenienti da settori e da studi non necessariamente direttamente connessi alla finanza.
Pensiamo ad esempio a brillanti studenti di filosofia, scienze umane ma anche di fisica, matematica e ingegneria, esperti di Intelligenza Artificiale e di machine learning, servono insomma i migliori talenti che non necessariamente si trovano nei soliti bacini, basti pensare alle start up anglosassoni.
La seconda è quella di cavalcare il digitale, perché se è vero che la persona, cliente e professionista, sono e saranno sempre al centro della consulenza finanziaria e patrimoniale è altrettanto vero che i canali attraverso cui questa si esplicita sono radicalmente cambiati negli ultimi due anni e sono destinati ulteriormente a evolvere nei prossimi cinque.
Basta rileggersi i piani di industriali per il prossimo triennio presentati poche settimane or sono dalle principali banche che operano in Italia, da Intesa Sanpaolo a UniCredit, passando per BNL BNP Paribas, per comprendere come sul fronte digitale le banche siano passate da una posizione difensiva a una offensiva.
Reclutamento dei migliori talenti, startupper, manager e banchieri digitali, accordi con fintech e investimenti da decine di milioni di Euro in App, piattaforme di web collaboration, sono i primi e più evidenti segnali che le banche cosiddette “tradizionali” vogliono e, per certi versi debbono, se non vogliono essere spazzate via dal mercato, diventare banche multi canale a trazione digitale
Pensando al futuro e alle sfide per le reti dei consulenti finanziari o patrimoniali che dir si voglia, si stima che il modello della banca multicanale con il consulente finanziario al centro potrà accrescere la quota di mercato nel segmento upper affluent e private di un ulteriore 15% per arrivare a servire il 55%-60% del segmento, con una crescita degli asset under management dagli attuali 784,4 miliardi di Euro (fonte ASSORETI, febbraio 2022) a 1.000 miliardi entro il 2027-30.
I portafogli medi dei consulenti sono infatti cresciuti con percentuali a due cifre, più che proporzionalmente rispetto al numero dei clienti serviti che cresce, ma a ritmi più contenuti, soprattutto per il focus sui clienti più patrimonializzati presso cui aumenta la quota di portafoglio.
Manca all’appello una parte significativa di risparmiatori affluent (circa due milioni in Italia) che tiene il denaro sul conto corrente più per mancanza di proattività che di fiducia nelle banche o che preferisce fare da sé facilitata dalla maggiore accessibilità ai mercati e alle soluzioni di investimento possibile con la multicanalità digitale.
La segmentazione dei clienti per entità e origine del patrimonio, per coorti generazionali, per professione, orizzonte temporale e profilazione del rischio e la successiva messa a punto di modelli di servizio scalabili e modulari potrebbe certamente rappresentare un’evoluzione. Su questo le banche cosiddette tradizionali potranno avere un vantaggio competitivo.
Nicola Ronchetti, FINER Founder & CEO
Per Wall Street Italia Aprile 2022