ADVISOR | Novembre 2021
Una storia di amore iniziata oltre quindici anni fa, quella tra consulenti finanziari e architettura aperta, celebrata con l’arrivo in Italia di decine di SGR estere.
I consulenti finanziari potevano finalmente scegliere tra un numero crescente di asset manager americani, inglesi, francesi che affiancavano i nomi storici delle società di gestione del risparmio italiano.
Nel 2007 il 75% dei consulenti finanziari sceglieva in autonomia la casa di investimento e all’interno di questa il fondo o i fondi da proporre ai propri clienti, tra quelli messi a disposizione della mandante, ovviamente.
Anche le mandanti erano alla spasmodica ricerca di nuovi leader dell’asset manager, meglio se esteri, da mettere in vetrina per dare un respiro più globale e cool alla propria attività di consulenza finanziaria.
I mercati finanziari, si sa, non hanno confini, quindi le porte erano aperte a qualsiasi asset manager che avesse una buona reputazione e un buon track record.
A meno di quindici anni, i numeri si sono invertiti. Solo il 25% dei consulenti va ancora “à la carte” mentre il 75% di loro si affida ai “menù degustazione” predisposti dallo chef della mandante, ovverossia dal team di fund selection che oggi decide la buy list e il destino delle SGR.
Come se non bastasse le mandanti, anche quelle storicamente più aperte alle SGR terze hanno cominciato, chi prima chi dopo, a creare vere e proprie SGR interne, dedite alla gestione in delega a case terze dei propri asset.
Gestioni in delega mediante la richiesta alle SGR di veri e propri cloni dei loro fondi super star da inserire in contenitori a nome della SGR della mandante e caratterizzati da nomi accattivanti in linea con le tendenze di mercato.
Ovviamente alle SGR è richiesto di rinunciare non solo alla visibilità del proprio brand, ma anche a qualche punto base nelle commissioni di gestione.
Tutto ciò per le mandanti ha tre vantaggi: 1) un beneficio economico derivante dalla stretta sulle commissioni alle SGR; 2) un controllo diretto del rischio; 3) una maggiore retention dei clienti in caso di cambio di casacca del consulente.
Per il consulente il vantaggio è quello di poter contare su soluzioni di investimento preconfezionate dalla propria mandante, liberando tempo da investire nella relazione con i clienti e i prospect.
Oggi – con qualche eccezione – il mercato sembra dunque aver chiuso con l’architettura aperta.
Corsi e ricorsi storici come direbbe Gian Battista Vico: chissà se il futuro ci possa riservare un altro cambio di rotta?
Nicola Ronchetti