Investire | Ottobre 2020
Quando i primi ETF sono sbarcati in Italia, sono stati visti subito con sospetto. Innanzitutto dai cosiddetti gestori attivi, che li vedevano come prodotti di serie B non in grado di cogliere le opportunità del mercato (ad esempio andare contrarian), ma solo – come si direbbe in gergo ciclistico – capaci di andare in scia senza fare troppa fatica, lasciando ad altri, al mercato, in primis l’onere di fare da apripista.
Anche i consulenti finanziari, all’inizio non li amavano, essenzialmente per due motivi: primo, erano la negazione stessa della consulenza finanziaria, meri replicanti che scimmiottavano gli indici senza possibilità di alcun valore aggiunto; secondo, proprio per la loro natura di prodotto basico non consentivano retrocessioni in grado di remunerare l’attività di consulenza finanziaria e i costi della distribuzione.
Nel giro di qualche anno tutto è cambiato: gli ETF da Cenerentola del mercato sono diventati una ridente principessa nel mondo della consulenza finanziaria. I motivi sono diversi, analizziamo i principali.
Il crollo dei tassi a zero ha alzato l’asticella dell’attenzione sul costo dei prodotti di investimento e sulla qualità degli stessi. In altre parole quando i tassi non erano così bassi e addirittura negativi, per la consulenza finanziaria le occasioni sul mercato erano molte di più. Oggi poi va detto che i gestori attivi, veramente attivi, in grado di batter gli indici, si contano sulle dita di una mano.
Per i gestori attivi incapaci di battere gli indici e al contempo cari come il fuoco è suonata la campanella di fine ricreazione e il mondo della consulenza finanziaria lo ha capito prima e meglio di altri.
Come se non bastasse sono arrivati anche gli ETF attivi, una vera antinomia. Se gli ETF standard, hanno come obiettivo dichiarato quello di replicare il più fedelmente possibile l’indice di riferimento, sono, quindi per definizione, strumenti a gestione passiva, gli ETF attivi, nati in USA e sbarcati in Italia, hanno l’obiettivo dichiarato di generare un extra-rendimento rispetto al mercato di riferimento.
Gli ETF a gestione attiva, come la maggior parte dei fondi comuni tradizionali, variano arbitrariamente la composizione del portafoglio, agendo sia sul peso da attribuire alle singole asset class (azioni, obbligazioni, materie prime, ecc.) sia a livello di rappresentanza di aree geografiche, settori ecc. Una manna per la consulenza finanziaria: performance al giusto prezzo.
Infatti per le reti dei consulenti finanziari, anche esse alle prese con la ricerca di rendimenti per i propri clienti e al contempo al contenimento dei costi, gli EFT sono diventati uno strumento perfetto da inserire, come uno degli ingredienti, certamente non l’unico, nei servizi di consulenza finanziaria evoluta.
In altri termini le reti dei consulenti finanziari hanno compreso, in epoca di tassi zero e prima di altri, l’importanza di offrire una consulenza finanziaria a parcella o “fee only” dove le commissioni sul collocamento sono retrocesse al cliente che paga in chiaro per la consulenza finanziaria ricevuta.
Ecco che in questo contesto gli ETF, sia attivi che passivi, sono diventati una vera e propria benedizione, non necessariamente stand alone, ma soprattutto mixati con altri tipi di prodotti, nelle gestioni patrimoniali e più in generale nell’asset mix dei clienti alla ricerca di consulenza finanziaria di qualità al giusto prezzo.
Quello degli ETF non è un fenomeno di moda se è vero, come si è verificato puntualmente che, oggi, non c’è un solo gestore attivo internazionale che non abbia a catalogo anche gli ETF: Amundi, BlackRock, Goldman Sachs, JP Morgan, Fidelity, Franklin Templeton, solo per citare i più noti.
Gli ETF si presterebbero poi anche a rivoluzionare i modelli di distribuzione e il concetto stesso di consulenza finanziaria. Pensiamo ad esempio al colosso Vanguard che, dove è nato e si è consolidato, grazie a un’ottima e consolidata reputazione (in USA), ha di fatto disintermediato la distribuzione andando direttamente sull’investitore finale e ribaltando molte rendite di posizione.
La consulenza finanziaria in generale, i consulenti finanziari, i private banker e a tendere anche i gestori bancari, dovranno sempre più spesso fare i conti con gli ETF anche perché hanno saputo cogliere uno dei più importanti trend, ritenuto dai più irreversibile, quello dei prodotti ESG.
Gli ETF ESG sono oggi una solida realtà in continua crescita nell’ambito della consulenza finanziaria e anche in questo caso, chi li promuove ha compreso, prima di altri, che l’approccio ESG non è un fenomeno passeggero ma un vero e proprio cambiamento culturale che segnerà presto il destino di chi non saprà cavalcarlo.
A conferma del loro successo – oltre ai dati di raccolta – vi è la crescita esponenziale della propensione dei consulenti finanziari a inserire gli ETF nei portafogli consigliati ai loro clienti: 16% nel 2017, 27% nel 2018 e 34% nel 2019 (fonte FINER® CF Explorer).
Meglio tardi che mai, in ogni caso una bella sfida per la consulenza finanziaria.
Nicola Ronchetti
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