Il valore della formazione
Si è appena concluso il World Economic Forum di Davos e tutti i più importanti manager e politici presenti hanno convenuto su un tema: il nostro futuro parte dalla formazione. Ginni Rometty la CEO di IBM, ha parlato di “skills crisis“, Muriel Pénicaud, la ministra del lavoro francese, ha detto che “oggi l’accesso al capitale è più facile dell’accesso alle competenze”.
Tutte le organizzazioni si stanno rendendo conto che, tra le barriere all’attuale trasformazione guidata dalle nuove tecnologie, la più pericolosa è la mancanza di competenze.
Quale è lo stato dell’arte nell’industria finanziaria italiana? Quale il livello di formazione dei consulenti finanziari che sono oggi chiamati ad un ruolo sempre più centrale nello sviluppo dell’economia reale per le famiglie e le imprese? Per rispondere a queste domande, Focus Risparmio ha realizzato una ricerca su oltre 300 consulenti finanziari.
Dalla ricerca emerge innanzitutto una buona opinione complessiva sugli strumenti formativi che le mandanti mettono a disposizione dei CF per rispettare i requisiti di conoscenza e competenza richiesti dal nuovo regolamento intermediari della Consob (con il 30,5% di risposte molto positive).
Ciò è testimoniato dalla rilevanza e dall’autorevolezza raggiunta oggi dalle Università e dalle Accademy presenti nelle più importanti reti.
Anche l’opinione sugli strumenti formativi e informativi di supporto al lavoro di consulente finanziario (app, banche dati, brochure informative) messi a disposizione dalla mandante è positiva per più di due consulenti su tre, con il 21,5% che li ritengono molto positivi.
Quale è il giudizio delle SGR in ambito formativo? L’opinione sull’offerta di strumenti di supporto per il lavoro di CF è mediamente positiva, ma presenta certamente qualche spazio di miglioramento: solo il 5,7% la ritiene molto positiva.
Non è un caso se tra le SGR più apprezzate dai CF ci siano quelle che investono tempo e denaro in attività formative, e non solo, nella proposizione commerciale dei loro prodotti (fonte Finer CF Explorer e Private Banker Explorer 2018).
D’altronde per stessa ammissione dei CF la loro preparazione professionale ha ampi spazi di miglioramento: solo il 13,6% la valuta completamente positiva. Ancora più impietoso il giudizio sulla preparazione professionale dei propri colleghi: meno del 50% dei CF esprime un giudizio positivo e solo il 6,4% molto positivo.
Tutto questo è confermato dal numero di ore che i CF hanno dichiarato di dedicare ogni anno alla formazione professionale: per oltre due terzi superiore alle 40 ore, risultato non banale considerato che è comunque superiore a quanto previsto dal regolamento intermediari.
Infatti, il nuovo regolamento intermediari, che prevede un percorso continuo di formazione di almeno 30 ore ogni 12 mesi, è ritenuto adeguato solo dal 47,9% dei CF mentre ben il 35,8% lo considera inferiore rispetto alle necessità effettive di aggiornamento professionale.
Molto interessante il dato sulle modalità con cui i CF sviluppano la loro preparazione professionale: il ruolo dei convegni e delle conferenze è centrale per l’89,1% dei CF, seguono la formazione in aula (77,4%), gli eventi e le fiere (63%) a la lettura di libri e riviste specializzate (69,1%). Da non sottovalutare l’importanza dei webinar (seminari tenuti su Internet) che vale ben il 49,8%. Anche questo dato trova conferma nelle ricerche di FINER e nei dati di affluenza dei tre appuntamenti annuali più rilevanti dell’industria: il Salone del Risparmio di Assogestioni, Consulentia di ANASF e l’EFPA Meeting.
Quali sono le tematiche che i CF ritengono più rilevanti da approfondire ai fini della loro crescita professionale? Al primo posto – pari merito – educazione finanziaria, finanza comportamentale e pianificazione successoria (53,6%), al secondo le analisi di mercato (51,3%), al terzo la comprensione delle esigenze della clientela (49,1%), al quarto la consulenza fiscale (47,9%), segue al quinto posto la costruzione del portafoglio (46%), al sesto la consulenza previdenziale (44,5%), al settimo gli aspetti normativi (38,9%), all’ottavo la negoziazione e la gestione della relazione con la clientela, al nono i prodotti di investimento (30,2%), al decimo l’utilizzo degli strumenti informatici (25,3%) per concludere con le tematiche che attengono al personal branding e alla leadership (21,9%).
Un risultato che testimonia l’importanza fondamentale di parlare di progetti di vita dei risparmiatori e sempre meno di prodotti.
Molto incoraggiante anche l’importanza attribuita al conseguimento della certificazione della propria professione: il 74,3% la ritiene necessaria per svolgere con successo la professione. Ancora più incoraggiante rilevare che ben il 69,1% dichiara di aver conseguito almeno una certificazione.
Tra i soggetti più idonei a erogare la formazione i CF mettono al primo posto l’università (63%), al secondo le società specializzate nella formazione professionale (56,6%), al terzo le associazioni di categoria e le fondazioni (39,6%), seguono al quarto le mandanti (34,3%), al quinto le autorità di vigilanza (30,2%), al sesto le SGR (28,3%), seguono a distanza le banche (12,1%), inesistente il ruolo dei media (3%).
I risultati della ricerca di FR trovano piena corrispondenza con quanto rilevato dagli osservatori che FINER conduce annualmente su oltre 7.500 tra CF, Private Banker e Gestori Bancari: il valore della formazione è determinante per navigare nelle acque sempre più tempestose dei mercati finanziari, per seguire la rotta imposta da normative sempre più pressanti (MiFID 2, IDD) e quindi per portare a destinazione i propri clienti.
È bene che tutti gli operatori del settore (SGR, Reti, Banche, Associazioni, Regolatori), si mettano in gioco nel loro stesso interesse, poi per quello del mercato e infine per quello del Paese.
Non dimentichiamo mai cosa scrisse Dante 700 anni fa (canto XXVI dell’Inferno) quando Ulisse si rivolge ai suoi compagni per spronarli a continuare il loro viaggio oltre le colonne d’Ercole: “fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”.
Nicola Ronchetti