Investire | Luglio 2020
C’è una finanza che va “corta” sulle nostre società quotate si tratta di una finanza che viene volgarmente definita speculativa il cui motto è mors tua vita mea.
C’è un’altra finanza, che investe in aziende con un’ottica sostenibile di medio lungo termine.
Ancora prima della pandemia la finanza aveva fatto al sua scelta ben rappresentata dalle dichiarazioni di Larry Finch: «siamo sull’orlo di una completa trasformazione della finanza che porta a riconsiderare le fondamenta stesse della finanza moderna».
Molto apprezzabile la nuova opzione dell’industria del risparmio gestito che in epoca di tassi sotto zero e di fiumi di denaro impiantati in liquidità, propone prodotti illiquidi che investono in infrastrutture e nel capitale di aziende non quotate.
Il punto nodale è come questi prodotti fino a oggi destinati a pochi eletti possa trovare terreno fertile anche presso il pubblico più allargato dell’investitore finale italiano.
Per rispondere a questo quesito FINER ha realizzato per conto di ASSOGESTIONI una ricerca che ha coinvolto 1.600 investitori finali e 1.100 i professionisti (consulenti finanziari, private banker, gestori bancari e fund selector).
La ricerca si è svolta in due periodi: Prima dell’emergenza Covid-19: dal 27 gennaio al 17 febbraio 2020 e Dopo l’emergenza Covid-19: dal 18 al 26 maggio 2020.
Dalla ricerca emerge che il mercato potenziale c’è ed è ampio e qualificato, ma va informato, educato e sviluppato.
Tra gli investitori finali si registra una crescita sia dei livelli di conoscenza (+14%), che di interesse (+13%) verso gli investimenti in economia reale dopo la pandemia. Il lockdown ha reso gli investitori finali più edotti – hanno avuto più tempo per informarsi – e anche maggiormente sensibili avendo sperimentato una nuova vulnerabilità a cui non erano preparati.
Unanime è infatti la convinzione che questi investimenti possano contribuire alla ripartenza dell’Italia. Cresce l’interesse per gli investimenti in aziende italiane, in quelle il cui impatto sociale e ambientale sia misurabile e in infrastrutture.
I professionisti, ovverosia i consulenti finanziari, i private banker e i bancari, pur essendo tutti convinti che gli investimenti in economia reale possano contribuire alla ripartenza del Paese, ne sottostimano (del 17%) l’aumentato interesse e la propensione alla sottoscrizione dei propri clienti.
La vera sfida per il lancio dei prodotti illiquidi passa dunque dall’informazione e dalla sensibilizzazione dell’investitore finale da parte della distribuzione e delle SGR. Almeno questo è il punto di vista dei fund selector – cioè coloro che intermediano tra distributori e gestori – che sembrano cogliere questa distonia tra domanda e offerta e auspicano un ruolo più proattivo soprattutto della distribuzione ma anche delle case prodotto.
Per i fund selector ben l’85% degli investitori finali non conosce i prodotti di investimento illiquidi; il compito di informare è in capo ai referenti per gli investimenti (100%), alle banche (99%) e in parte anche alle SGR (66%).
Le premesse e i numeri perché l’industria del risparmio gestito dia un ulteriore contributo all’economia reale e al rilancio del paese ci sono tutte.
In un mercato fortemente guidato dall’offerta, possiamo dire che la palla passa ora alla distribuzione e ai professionisti – consulenti finanziari, private banker e operatori bancari – a cui ci sentiamo di dare un unico suggerimento: battete il ferro finché è caldo.