PIR ALTERNATIVI ARRIVA LA CAVALLERIA

Investire | Febbraio 2021

Un po’ come la cavalleria, i PIR alternativi sono venuti in soccorso ai PIR “tradizionali” che hanno subito una serie di stop and go che ne hanno impedito – per ora – il decollo.

La saga dei PIR inizia nel 2017 con l’obiettivo di convertire l’enorme stock di risparmio degli italiani a sostegno dell’economia reale, il vantaggio: detassazione totale sui rendimenti derivanti da capital gains e dividendi relativi ai PIR, a condizione che l’investimento non fosse liquidato prima di 5 anni.

Il mercato coglie l’opportunità e avvia un imponente lavoro di raccolta usando le reti e gli asset manager: in breve la raccolta raggiunge 20 miliardi e si stimano 50 miliardi nel giro di tre anni.

Lo strumento scelto per la raccolta richiede di investire almeno il 90% delle risorse in borsa e mercati regolamentati, cioè in prodotti liquidi. Risultato: dei 20 miliardi raccolti la stragrande maggioranza sono stati investiti in titoli esteri quotati su mercati internazionali e prodotti non collegati alla economia reale del nostro paese.

Da qui le limitazioni introdotte nel 2018, che hanno frenato l’avanzata dei PIR: almeno il 3,5% degli investimenti da destinare a società quotate sull’AIM e un altro 3,5% al venture capital. Nel 2020 queste limitazioni sono sostituite dall’obbligo di destinare il 3,5% a strumenti finanziari di imprese a bassa capitalizzazione e quindi al di fuori dell’indice Ftse Mib e Ftse Mid di Borsa Italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati.

L’arrivo dei PIR alternativi annunciati a maggio del 2020 viene accolto con nuovi incentivi fiscali nel 2021, un credito di imposta in caso di minusvalenze fino al 20% per gli investimenti fatti nel 2021 e la totale esenzione sulle plusvalenze realizzate per chi detiene i prodotti per 5 anni.

Il decreto Rilancio che li ha istituiti prevede soglie di investimento elevate (investimento max di 150 mila euro annui fino a 1.5 milioni) e differenti vincoli (almeno il 70% del valore complessivo del piano investito in azioni, obbligazioni, sia quotate che non, prestiti e crediti emessi da PMI italiane).

Una ricerca realizzata per ASSOGESTIONI da Finer su 1.600 investitori finali, 1.000 professionisti (consulenti finanziari e private banker) e 100 fund selector a poche settimane dall’annuncio dei PIR alternativi ha evidenziato che il loro grado di interesse cresce con l’entità del portafoglio dei clienti e dei loro referenti.

Certamente vanno promossi e proposti ai clienti: i livelli di conoscenza sono ancora piuttosto bassi (meno del 10% per gli investitori finali e poco più del 50% tra gli intermediari).

I punti di forza dei PIR Alternativi sono essenzialmente due: l’esenzione fiscale e il focus sulle PMI italiane o europee. Il punto di debolezza è solo uno: il rischio. 

l’importo medio investibile è correlato all’entità del portafoglio: da qualche migliaio di Euro all’anno per i clienti mass market al massimo (€ 150K) per i clienti private. 

Anche la percentuale dei PIR alternativi che si ipotizza nel proprio portafoglio varia dal 1% per clienti mass market al 10% per i clienti private.  

Si tratta indubbiamente di investimenti illiquidi che possono dare buoni ritorni ma sembrerebbero maggiormente rivolti a investitori istituzionali o a investitori finali altamente patrimonializzati, con una propensione al rischio superiore alla media e con un orizzonte temporale medio lungo. 

Vi è però anche la possibilità che possano divenire uno strumento accessibile anche al resto della collettività. A condizione che vengano ne vengano ben compresi i limiti, le opportunità e le modalità d’uso, una percentuale minima e un orizzonte temporale lungo.

A queste condizioni potrebbero dare un contributo sia ai risparmiatori italiani che all’economia del Paese e sappiamo di quanto ne abbiamo bisogno.

Nicola Ronchetti