Private banking alla prova del nove

AP Advisor Private | Maggio 2020

Il mercato del private banking fino a pochi anni fa era un’isola felice in un mare relativamente calmo: investimenti con rendimenti minimi garantiti e rischio contenuto, obiettivi prudenziali dei clienti focalizzati sul mantenimento del valore del patrimonio, forti barriere all’ingresso, importanza di un marchio blasonato, un sistema di relazioni chiuso, consolidato ed esclusivo, il cosiddetto salotto buono, insomma. 

Oggi tutto è cambiato: evoluzione delle modalità di accesso e fruizione della banca in chiave digitale, ingresso delle reti dei consulenti finanziari, ricambio generazionale dei clienti, azzeramento dei tassi, aumento dell’incidenza del risparmio gestito, conseguente crescita del rischio, riduzione dei margini e quindi necessità di allargare l’offerta a servizi a maggior valore aggiunto (successori, fiscali, protezione, lending e corporate). 

Il lockdown ha dato poi un’ulteriore spallata alle ultime rendite di posizione e a un modello di servizio che certamente dovrà rivedere alcuni paradigmi e sviluppare una resilienza quanto mai necessaria negli anni a venire.  

Il Private Banking, deve infatti il suo successo a un continuo confronto e a uno scambio culturale e relazionale tra cliente-private banker-banca, in grado di sintetizzare competenze ed eccellenze tra loro complementari.  

L’industria del private banking si è sempre retta su dinamiche relazionali, tra le banche, le persone che in esse ci lavorano e i clienti. I private banker, come tutti, hanno dovuto abdicare alle loro consuete regole di ingaggio per far fronte all’emergenza, rinunciando alle molte occasioni di confronto personale con i clienti. 

È dunque di grande importanza analizzare i flussi di comunicazione (frequenza, modalità, contenuti e soddisfazione) di tutti gli stakeholder del private banking, professionisti, banche e clienti, durante il lockdown e definire quali possano essere gli effetti sul futuro del private banking. 

Per questo FINER ha attivato – a partire dal 9 marzo – un monitoraggio per comprendere come stanno cambiando le modalità di comunicazione tra banca e private banker e tra private banker e cliente. 

I risultati delle prime rilevazioni sono abbastanza sorprendenti: la frequenza di comunicazione settimanale tra i clienti private e i loro banker è raddoppiata passando dal 34% del 9 marzo (inizio del lockdown) al 72% del 26 aprile. 

Anche il contenuto della comunicazione private banker-cliente è cambiato. A marzo il focus era su due aspetti: informazioni sulla propria posizione finanziaria (42%) e indicazioni generali relative all’emergenza (37%); ad aprile le priorità sono mutate, le informazioni sulla posizione finanziaria (63%) prevalgono su quelle dell’emergenza sanitaria (22%). 

Anche la modalità di comunicazione tra private banker e i loro clienti è rapidamente cambiata in quattro settimane, passando dal telefono (44%) e dalle e-mail (30%) nella settimana del 9 marzo, alle video chiamate (47%) alla fine di aprile. 

La soddisfazione dei clienti per i contenuti e la modalità di comunicazione del proprio private banker cresce parallelamente in quattro settimane dal 49% al 61%. 

Altrettanto interessante è analizzare la frequenza settimanale di comunicazione tra banker e la direzione della banca che cresce dal 54% al 78% in quattro settimane; il contenuto che passa dalle informazioni sull’emergenza (61%), dalla gestione delle problematiche con i clienti (24%) dell’inizio del lockdown a tematiche inerenti le view dei mercati (31%) o alla proposizione di nuove soluzioni di investimento (19%) a fine aprile. 

Anche in questo caso tra banca e private banker cambiano le modalità di comunicazione più usate, passando dalle e-mail (61% il 9 marzo e 13% il 26 aprile) alle web conference (15% il 9 marzo, 58% il 26 aprile). 

Si conferma che anche la soddisfazione per i contenuti della comunicazione tra banca e private banker cresce con il passare delle settimane (dal 54% al 63%) le web conference sono in assoluto la modalità preferita (59%) rispetto all’intranet aziendale (21%), WhatsApp (13%), il telefono (5%) e le e-mail (2%). 

È dunque indubbio che l’industria del private banking abbia reagito e stia reagendo al lockdown con grande capacità di adattamento e resilienza. Quella che l’industria del private banking sta vivendo non è una crisi come le tante a cui era abituata, ma una vera e propria trasformazione che certamente avrà conseguenze irreversibili. 

È dunque lecito aspettarsi che anche il settore del private banking dovrà necessariamente ripensare alle proprie strategie di interazione, comunicazione e alle modalità di ingaggio con i clienti e i banker. 

Storicamente per il private banking, la digitalizzazione, nella relazione tra clienti e banker e tra questi e la banca, era solo una possibile opzione, ora è divenuta una condizione imprescindibile. 

A rendere il tutto molto sfidante è il fatto che molti dei protagonisti storici del private banking hanno origini lontane nel tempo e non sono nativi digitali: il futuro ci riserverà dunque molte sorprese e, molto probabilmente, un nuovo scenario competitivo.  

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