Quando la motivazione è tutto
Credo nel mio futuro professionale, credo nel futuro della funzione che svolgo e credo nel futuro della società per cui lavoro. Si tratta di un nuovo giuramento dei marines o di qualche adepto di Scientology?
Tutt’altro! Sono tre domande essenziali che ognuno di noi si dovrebbe porre ogni giorno quando si alza per affrontare la giornata lavorativa.
Queste tre semplici quanto fondamentali domande sono state poste nell’ambito dei tre monitoraggi che FINER conduce annualmente (FINER® CF Explorer, FINER® PB Explorer e FINER® Bank Manager Explorer) a 7.190 professionisti di cui 3.383 CF, 1.790 Private Banker e a 2.017 Gestori Bancari dedicati al segmento affluent della clientela (quelli per intenderci con consistenze finanziarie comprese tra i 100mila e i 500mila Euro, che in Italia sono circa 2 milioni di individui, 80milioni nel globo).
I risultati per nulla sorprendenti per chi conosce bene il settore, offrono una fotografia molto chiara del mercato, a partire dal primo “credo”, ovverosia quanti credono nel proprio futuro professionale: i più ottimisti sono i CF (84%) seguono i Private Banker (69%) e infine i gestori bancari dedicati al segmento affluent (60%).
Anche il secondo “credo”, non meno rilevante, ovverosia quanti credono nel futuro della propria figura professionale – consulente finanziario, private banker o gestore bancario che sia – evidenzia la netta distanza tra le tre figure: il 74% dei CF è ottimista, rispetto al 61% dei Private Banker e al 41% dei gestori bancari dedicati al segmento affluent.
Il terzo “credo”, rappresenta quanti credono nel futuro della società per la quale lavorano e hanno uno spiccato senso di orgoglio e senso di appartenenza verso questa. Anche in questo caso si evidenzia il divario tra i tre differenti pubblici di riferimento: 87% dei CF crede nella propria società, rispetto al 71% dei Private Banker e al 66% dei gestori bancari.
Si tratta in tutti i casi di percentuali alte per tutte e tre le figure professionali, soprattutto se confrontati con altri lavori considerati meno “nobili” ma forse altrettanto socialmente essenziali, pensiamo a chi lavora in un cantiere edile, alla cassa di un supermercato o in un pronto soccorso.
Cionondimeno è interessante anche scoprire come i sentimenti suscitati dai tre “credo” siano naturalmente correlati con la soddisfazione rispetto alla propria banca o mandante: il 35% dei CF è completamente soddisfatto della propria mandante rispetto al 24% colleghi che lavorano come dipendenti di una banca private e al 28% di quanti lavorano come gestori affluent in una banca universale.
Curioso poi che i dipendenti bancari dedicati al segmento Private siano meno soddisfatti dei loro omologhi colleghi dedicati ai clienti affluent. Curioso sì, ma assolutamente comprensibile se si considerano due aspetti: 1) l’ingresso a gamba tesa dei CF nel mercato Private che ha rotto molte rendite di posizione; 2) la minor complessità nella gestione di un cliente affluent rispetto a un private.
È ben vero che paragonare chi ha fatto una scelta imprenditoriale – il CF è un agente monomandatario – con un dipendente con contratto a tempo indeterminato, potrebbe fare storcere il naso ai puristi dei confronti, è però altrettanto vero che oggi le due figure professionali si trovano a competere sullo stesso mercato e con gli stessi clienti e quindi il paragone non è solo lecito ma pure doveroso.
Non è un caso se il primo Gruppo Bancario Italiano – Intesa Sanpaolo – con una certa lungimiranza rispetto al mercato preveda ben tre opzioni tra le molte società del gruppo: CF, dipendente o contratto misto. I numeri dei contratti misti non fanno ancora pensare ad un fenomeno di massa, ma forse è presto per dirlo.
In ogni caso questi risultati ci fanno riflettere su quanto i tre modelli di business – reti dei CF, Banche Private e Banche Universali – rappresentati da altrettante figure professionali poggino di fatto le fondamenta del proprio successo proprio sulla motivazione delle donne e degli uomini che rappresentano la prima linea commerciale con il cliente.
Lavorare sul rafforzamento dell’autostima, sulla valorizzazione del lavoro e sul consolidamento del senso di appartenenza con la società – banca o rete che sia – dei propri professionisti è forse il miglior investimento che si può fare. Qualcuno l’ha capito molto bene, agli altri un grosso in bocca al lupo.