Sostenibilità tra slogan e realtà.

Verso un’economia altruista?

Durante il recente Salone del Risparmio 2019, si aggiravano sopra il brusio alcune parole che non si è abituati ad associare al movimento dei mercati e alla vorticosa vita della finanza: ‘sostenibile è meglio’, dicevano in molti, ‘inclusivo ancora di più’ rispondeva l’eco, vantando anche i pregi di ecologia e parità di genere, Che il mondo della finanza e la logica del rendimento ritengano opportuno conversare di etica? O, meglio ancora, con l’etica? Andrebbe certo nel senso di alcuni segnali spigolati qua e là e da tempo sulla stampa e tra gli scaffali delle librerie: per esempio nelle pagine che Valerio Castronovo dedica sul Sole del 3 febbraio 2019 a Dani Rodrik – cattedra a Harvard – critico dei guasti del ‘fondamentalismo mercatista’ e in cerca di una ‘economia assennata’ e rispettosa; o ancora nelle recensioni del non ancora tradotto The Third Pillar. How Markets and the State Leave the Community Behind (2019), nel quale l’economista indiano Raghuram Rajan insiste sulla necessità di ricucire legami tra e nelle comunità dilaniate dalla globalizzazione e di tenere a bada le violenze del mercato.  Che finanza globale e neoliberalismi si stiano ponendo problemi etici? Spinti, senza dubbio, dalla turbolenza dei mercati e dalle fratture rivelate e/o causate dalla rivoluzione tecnologica, oltre che dalle disuguaglianze che sono la cifra del nostro mondo e si portano dietro cupe derive politiche?

Non è certo la prima volta che l’economia si intrattiene con simili questioni, e sono millenni che l’etica s’intreccia al pensiero economico; si può risalire ad Aristotele, per il quale la felicità individuale si coniuga con la misura e la ragione; e, molto più vicino a noi, al progenitore di tutte le forme liberiste, Adam Smith. Di frequente, dietro La ricchezza delle nazioni torna a profilarsi La teoria dei sentimenti morali (1759), in un invito a interrogare le aporie che si vanno man mano delineando nel Settecento tra interesse personale – motore del libero mercato – e giustizia sociale. Smith affida la soluzione (astratta) alla celebre ‘mano invisibile’ capace (forse) di correggere gli squilibri potenziali del mercato, e alla ‘simpatia’, principio e strumento, secondo il filosofo, di una rete di reciproca responsabilità morale e di vicendevole rispetto tra gli uomini.

Per quanto sembri oggi polveroso e desueto il concetto di ‘simpatia’, almeno nella sua accezione smithiana, il motivo di una economia insieme libera e gentile, o perlomeno non iniqua, attraversa I decenni secondo diverse modulazioni. Non è certo un caso che, a metà dell’Ottocento, nel momento in cui il laissez faire produce in Gran Bretagna i suoi frutti maturi, di sicuro più avvelenati che commestibili, la ‘simpatia’ di Adam Smith faccia una vistosa ricomparsa, come a sottolineare l’impellente necessità di mettere un riparo alle ferite quasi mortali della rivoluzione industriale.  Il romanzo di Elizabeth Gaskell, Mary Barton (1848), si svolge a Manchester, dove le machine vanno a pieno ritmo, incuranti del disastrato paesaggio urbano e umano che si stende attorno: operai affamati e imprenditori pasciuti, tuguri insalubri e dimore benestanti, moti di ribellione e scioperi domati. Sono gli anni della carestia, gli hungry forties, quelli stessi che descrive Friedrich Engels nei suoi studi sulla classe operaria in Inghilterra.  Consapevole degli immani costi umani e sociali di quell’impetuoso progresso, e ben lontana dal radicalismo, la scrittrice affida alla ‘simpatia’ e ai valori che incarna – solidarietà, convivenza, comunità – la difficile redenzione di quel mondo; la finzione letteraria porta i personaggi a cercare una vita migliore in Canada e si stende il silenzio sui danni di un laissez-faire senza regole. Ma la narrativa industriale di Gaskell, vivace e insieme dolente, resta a memoria di un filo rosso che percorre il liberalismo economico: intollerante sì di quanto possa frenare la competizione e lo scambio libero, e nel contempo spesso attento a necessari correttivi e ‘ammortizzatori’ sociali che ognuno interpreta a modo suo e nel segno dei propri tempi. Mentre il vittoriano Thomas Carlyle ritiene di controbilanciare la legge della giungla con una guida illuminata all’uguaglianza e ai diritti, John Maynard Keynes (nostro contemporaneo?) se la prende con il capitalismo barbaro dei ‘rentiers’ e mira a equilibrare i profitti con i valori della comunità, della solidarietà umana e della cultura.

Economia e finanza seguono le proprie vie e le loro molte vite, locali un tempo e sempre più globali, con gli esiti che sappiamo: felici, la fame nel mondo diminuisce e anche la povertà. Gravi, certe disuguaglianze si approfondiscono in modo intollerabile e dannoso. Impellenti, il pianeta muore di caldo.  Non a caso, viene da pensare, tornano con insistenza il motivo etico, e l’assoluta necessità di un progresso non distruttivo. Tornano in memoria parole inconsuete eppure associate al grande pensiero economico contemporaneo: l’altruismo di Edmund Phelps, premio Nobel 2006, il capitale umano e la felicità di Gary Becker, premio Nobel 1992, la giustizia e la reciprocità di Amartya Sen, premio Nobel 1998. Vale la pena guardare oggi, all’indomani di una crisi mondiale forse non ancora conclusa, il blog di Dani Rodrik, per scoprire i modi della sua resistenza all’economia tradizionale, come recita il titolo di un suo libro.  Molte suggestioni giungono anche dal giovane gruppo di ricerca animato da Rodrik  che lega Harvard a UC Berkeley, Columbia e altri centri: EFiP, Economics for Inclusive Prosperity (https://econfip.org/). Inclusione, diritti, ecologia, benessere, queste le parole che corrono sulla rete di EFiP, e non sono molto diverse da quelle che usa Raghuram Rajan – in questi giorni di fine aprile è tra i candidati per la direzione della Banca d’Inghilterra – nel suo volume sulla ‘terza colonna’, pagine che invitano i mercati ad ascoltare le comunità e affidano la riparazione di troppi danni a quello che egli chiama ‘inclusive localism’.

Sostenibilità, pari diritti, reciprocità, che sia il lessico ritrovato dell’economia di domani?

Caroline Patey

professore ordinario di Letteratura inglese, Università degli Studi, Milano, Cultural Advisor di FINER Finance Explorer